05 marzo 2014

Dudu

Io comunque quando sento parlare di Dudù di qui Dudù di là, beh io di solito penso a questo.



19 agosto 2013

Un po' di giorni


16 agosto. Campane

Oggi, per il secondo giorno consecutivo, al mattino ho sentito le campane. La chiesa più vicina è abbastanza lontana, ma credo proprio vengan da lì. Potenza del ferragosto e suoi dintorni.


16 agosto, quasi 17.  Articoli della costituzione, lavagne, ristoranti

Su una delle lavagne esterne di un locale che è un po’ anche bistrot, ristorante, libreria e altre cose che probabilmente mi sfuggono, c’era scritto l’articolo 21 della costituzione. L’ho letto tutto pensando che l’avessero magari riadattato a tema mangereccio, e invece no, era originale, o almeno sembrava.


19 agosto.  Licensing

Ieri, in una macchina sportiva decappottabile -non conoscevo, mi riaccompagnavano - con 220 mila chilometri ma rimasta comunque molto sportiva, mi han detto che ero la prima persona incontrata a sapere cosa fosse il “licensing”. Son cose, sia la macchina sportiva, sia il mio sfoggio di sapere. 

15 agosto 2013

Stadio e rubrica

eran dieci anni, forse più, che non entravo in uno stadio per vedere una partita di calcio, e beh, non è mica male la partita di calcio nello stadio,

e poi c’è il fatto che riesci a chiacchierare con un amico meglio che al cinema, e poi vedi pure la partita, mi sembran cose da considerare la prossima volta che penso allo stadio e alla gente che va allo stadio -anche se in pochi in effetti chiacchieravano.

Sotto di me c’era pure un ragazzino, in realtà bambino, nove o dieci anni, ma con piglio già da ragazzino, saran stati l’orecchino, modi spicci, insulti all’arbitro pur misurati -comprato e non cornuto. Lui era andato allo stadio, oltre che per stare col padre corpulento e i suoi amici corpulenti, anche per giocare al cellulare con due suoi amichetti, stesso gioco su tre cellulari diversi in contemporanea. Non un gioco di calcio, il che era un peccato. Poi a un certo punto ha provato anche ad usare il cellulare come cellulare, per chiamare. Prima è andato più volte sulla voce “Casa mia”, poi visto che la linea non prendeva ha provato a chiamare “Incubo”, ma la linea davvero non prendeva -lo stadio all’epoca degli smartphone o quei titoli o proclami così sono falsi dunque, ammesso che qualcuno li abbia fatti, ma crederei di sì. Io intanto ero molto affascinato dalle voci “Casa mia” e ” Incubo”, maiuscole comprese, del suo cellulare -da quando ho una mia casa il numero di questa l’ho segnato sotto “Casa”, voce sotto cui avevo la casa dei miei genitori, che ora non ricordo come ho cambiato, e non avevo pensato, o forse l’avevo fatto e me ne ero vergognato, di chiamarle invece “Casa mia” e quella dei miei genitori ”Casa dei miei”, in un’orgia di possesso e aggettivi conseguenti. Comunque il ragazzino continuava a provare con “Casa mia” e “Incubo” -ecco, di Incubi non ne ho in rubrica, credo- finché ha ripassato il cellulare al padre, ché evidentemente il cellulare era suo, ed era sua pure “Casa mia”, e io ci son rimasto male, che era più bello fosse stata del bambino, anche se mi dispiaceva avesse anche l’Incubo.

07 luglio 2013

You and I





Wilco e Feist - You and I, un pezzo del 2009.

12 settembre 2012

Le parole della politica o di quel che ne rimane: biologistico e enews



 «Gli uomini immaginano di manifestare virtù e vizi solo attraverso azioni palesi, 
e non vedono che virtù o vizio emettono in ogni momento un loro proprio respiro».
Ralph Waldo Emerson


Da oggi e per tutta la campagna elettorale prossima ventura, quando ce ne sarà occasione, si prova qui ad esaminare in maniera confusa, esagerata, dispersiva ed efferata le parole dei nostri politici. Non i loro strafalcioni ma le salienze, le cose che colpiscono, anzi, venendo la parola "salienza" da ciò che sale, che spicca in quanto in rilievo, piuttosto qui si cercheranno le cose che sprofondano, che nella distesa uniforme di cera e colla che è il discorso e il senso pubblico lasciano un segno negativo, affondano in un tonfo o un buco per la loro insensatezza, perché risuonano e suonano strano, storto, come scarti non d'intelligenza ma di un di più di automatismo.

Partiamo in maniera prolissa dall'11 settembre 2012 (ieri)
Nichi Vendola:"[Ricky] Martin è un padre meraviglioso", "culture di tipo biologistico". 

In un articolo in cui Vendola rivendica il proprio diritto alla paternità, se la prende poi con quelle cuiture per cui il padre o è biologico o non è.  Ma  qual è il bisogno di usare la parola "biologistico" che si discosta da una ordinaria -se pure tecnica- come biologico?  Vendola vuole quindi rivendicare una riflessione straordinaria, e tecnica, non necessariamente scientifica, ma comunque densa di un sapere che si vuole rimarcare e distanziare dal discorso comune. Vendola usa l'esoterico, il noto solo ai pochi (la tecnica e il tecnicismo come nuova mistica o viceversa), un quasi-latinorum abbastanza comprensibile - si deve comunque far votare, il suo è un potere che vuole confondere per avvicinare, non per allontanare le pressioni e le responsabilità, come quello, misero e gretto, dell'Azzeccagarbugli e della Dc. Forse il cacofonico e ridondante "biologistico" serve per connotare negativamente queste posizioni che non vogliono far fare i padri ai gay, o forse per Vendola il sapere è potere non in un senso liberatorio -il contropotere personale della riflessione critica- ma come soffocazione: stringere, costringere e sconfiggere l'avversario in una morsa di nozioni, paroloni, insufflazioni  di complessi di inferiorità- una sorta di machismo (!) culturale.  
Comunque per uno che è contro il governo dei tecnici l'uso non degli slanci poetici ma piuttosto di un tecnicismo -di quale tecnica poi? la politica o la scienza e le sue filosofie?- è bizzarro, e abbastanza brutto ed inutile. 

Matteo Renzi"forza di un sorriso", "un cammino nuovo", "amici del popolo delle enews",  
così si presenta nel suo manifesto per le primarie ilpost.it/2012/09/11/log…

A parte la "forza di un sorriso" (bruxismo?), frase fatta da pubblicità (che conia frasi fatte nuove -ecco il suo genio o meglio la sua ragion d'essre- mentre quelle renziane sono vecchie e riciclate) Renzi non dovrebbe essere il giovane delle nuove tecnologie? Perché enews non lo usa nessuno, ma davvero nessuno, in rete. Quindi se ne conclude che Renzi non la conosce e non la frequenta, la rete, né la conoscono o frequentano i suoi consiglieri, o meglio possono pure frequentarla ma tanto non la capiscono - tutti andiamo in macchina, non per questo capiamo di meccanica o meglio ancora di viabilità e di progettazione urbanistica. 
E poi quel "cammino nuovo", che cos'è, allusione cattolica? O forse un riferimento ai molti cammini religiosi (francigene, santiago etc.) che negli ultimi anni si sono pseudolaicizzati, attraverso quel gran motore di secolarizzazione che è la moda  che introduce sempre la morte e la mortalità delle stagioni -andar di moda è andar di morte, (questa è più o meno di Leopard)i- e quindi uccide la trascendenza per creare un rito più genuinamente vuoto e inutile? Insomma Renzi sembra la Milano da bere riciclata e rimasticata tra pubblicità anni '80 e spiritualità succedanee non impegnative anni '90  -il carisma religioso del politico dopo la morte non di Dio, ma, boh, dell'uomo ragno e di Dc e Psi; E  in questo spazio tra pubblicità e pseudovocazioni, c'è appunto il nulla, nuovista più che nuovo.

E allora, scrivendo qui di Renzi,  mi viene in mente che forse quando si parla del "nuovo che avanza", non si intende che procede in avanti, questo nuovo, ma piuttosto che sia in sovrabbondanza, un di più, uno scarto, un rimasuglio di altri vecchi nuovi, che sia rimasto lì e ogni tanto si riproponga, guasto e marcito, come il riflusso del martini della Milano craxiana.


05 marzo 2012

Vita, sorte e miracoli di Lucio Dalla, ovverosia due o tre cose che so di lui.



Gli elaboratori hanno per sorte 
 di aiutare l'uomo a vincere la morte.

Roberto Roversi

Lucio Dalla era, è stato, sarà anarchico (il cucciolo Alfredo), comunista, ateo e bestemmiatore e insieme pagano (Siamo dei), cattolico, a un certo punto perfino baciapile disperato erotico, stomp, una checca che fa il tifo, il più grande pianista italiano in do, il gigante e la bambina (l’inverno è neve, l’estate è sole), un bambino di fumo, sempre in giro a cercare per le strade, un uomo come me, un linotipista, uno stronzo, Sancho Panza, un marinaio con la sua giubba in mezzo al mare, solo come una scarpa su un biliardo pronto per un nuovo imbarco, a far suonare un pianoforte lasciandoci dentro anche le dita, una macchina negra ma adesso lo chiamano Zebra da quando gli han messo le braccia di un bianco di nome John, un latin lover con la faccia da Beethoven e un paltò se non mi sbaglio blu, un angelo alto biondo invisibile che bello che sarei seduto fumando una malboro al dolce fresco delle siepi, un siciliano, Domenico Sputo, un mistico, un santo forse un aviatore, con cinquanta chili d’ossa e un fisico eccezionale, paff bum.

Al Busker Festival di Ferrara nel 1989 con Jimmy Villotti

Negli anni ‘60 pare (siamo un po’ nel mito, non v’è certezza, ma non ha nemmeno senso cercarla) che a andasse in giro con delle ciliegie che pendevano dalle orecchie, appese per quel ramoscello che le tiene insieme. Ogni tanto si presentava con una gallina al guinzaglio.

Sempre in quegli anni (uscirà nel '70) scrive il primo, e per lungo tempo l’unico, testo di una canzone, Non sono matto, o la capra Elisabetta, la cui musica è di Gino Paoli. È la storia, anzi la messa in canzone, di uno sproloquio, di gelosia e disperazione, durante un processo. Molto bella, già qui parla e canta insieme.

La collaborazione con Roberto Roversi, tre album dal '73 al '77, termina con Dalla stremato e con un’ulcera perforante, sotto l’enorme pressione del poeta, più anziano, austero e sobrio, comunista e lirico, uno strano padre. Sfibrato, stanco, dopo questa scuola, rinasce cantautore, sgorga il flusso, non quello terso e distillato di Roversi, ma quello impastato dell’oralità, del parlato a perdifiato e pieno di inflessioni che si fanno cantato. Scrive così nel '77, dopo ben quindici anni di testi di canzoni altrui, a trentaquattro anni, il suo primo/secondo testo, Com’è profondo il mare, e l’acqua qui ha molto a che fare con questo suo flusso di parole e con riscoprirsi, rinascere e inventarsi anche scrittore - scrivente, paroliere, parolaio, non so bene come dire - dopo essersi inventato cantante, attore, personaggio televisivo e tante altre che verrano. Roversi stesso elogerà più volte Come è profondo il mare come una delle sue canzoni più riuscite, come una fusione di linguaggi in una sola voce: c’è l’ordinario, il quotidiano, il dialettale, lo smozzicato, il poetico come il rubato, l’ermetico che si scioglie in un discorso che sembra aver senso proprio perché scorre, continua e non si interrompe ma piuttosto a un certo punto muta, con un po’ di trucco e un po’ di mimica, in canto -queste mezze categorie qui le dico io, ché non mi sono andato a rileggere Roversi, ma spero rendano almeno un po’ l’idea.

Roversi, fra le altre cose tutte bellissime, gli fece musicare, cantare e interpretare un listino di borsa, La borsa valori. E Lucio Dalla ce la fa così bene - raccontava di viaggi Bologna-Roma, che però valevano quanto un Palermo-Francoforte, per andare a reincidere una sillaba o una frase che non soddisfaceva Roversi- che si arriva ad imparare a memoria questa sequela di nomi di aziende, quotazioni e riporti finali al mese di Novembre - perlomeno a me è successo. Qui i due stavano giocando con i limiti e le possibilità della canzone - avanguardia la si potrebbe chiamare, ma no, è più giusta la perifrasi- senza manierismi, senza autocompiacimenti, non abbandonando mai la musicalità, la musica e il ritmo.

Ne Il futuro dell'automobile e altre storie, lo spettacolo scritto con Roversi a metà anni ‘70, faceva un numero divertentissimo con il clarinetto, fra gramelot e scat, smontandolo, giocandoci; ne lessi una recensione entusiastica dell’epoca da parte di Dario Fo, purtroppo non la ritrovo. Qui lo rifà a fine anni '80.

Canta per ben due volte Ulisse, una proprio su parole di Roversi, Ulisse coperto di sale, un’altra in Itaca con il testo di Baldazzi e Bardotti, dalla prospettiva dei marinai.

Proprio Ulisse coperto di sale è stata campionata dal rapper Timbaland nel pezzo Indian Carpet dell'album Indecent proposal nel 2001. Anche un altro rapper, The Alchemist, la usa in un suo o pezzo.

In Itaca il coro un po’ sgangherato, mai in perfetto unisono, dei marinai di Ulisse che si lamentano delle avventure del capitano avventuriero, e che vogliono solo ritornare a casa, è fatto dai dipendenti degli studi della Rca a Roma, impiegati, operai, macchinisti, baristi. L’idea fu di Dalla.

Le sue canzoni sono state spesso ricantate in altre lingue. Da Chico Buarque de Hollanda che ha rifatto 4 marzo 1943, che diventa Minha Historia, passando per bande mariachi, fino a Olivia Newton John, con Tutta la vita - il titolo è in italiano- e un bizzarro video a bordo di una portaerei. E sorprendentemente la canzone rimane bella.

In Cinema, un pezzo di Henna del 1993, forse l’ultimo album con dei grandi guizzi, partecipa Mastroianni, con una sola frase, ripetuta, ma che lascia un segno (di che? non lo so dire, forse di stralunatezza e insieme di grande semplicità) sul brano, se non sull’intero album: «Dimmi dove vai?» «Vado sulla Luna» «Posso venire con te?» «Ma lassù piove».

In Tania del circo, pezzo strumentale, suona il sax con il pianista jazz Franco D’Andrea. C’è un testo nel libretto del disco e un consiglio, «Cantatelo voi».  

Nel 1990 su Radio Due intervista il suo amico Federico Fellini -che pare si addormentasse spesso ai suoi concerti- e Fellini a sua volta lo reintervista, insomma è una chiaccherata. Qualche sant’uomo l’ha messa su youtube. È un po’ che non la risento, ma ricordo Fellini che racconta delle sue brevi e fugaci lezioni di piano con una bella maestrina -non so se la chiamasse maestrina, ma suona-, lui innamorato e spaventato della musica anche se completamente ignorante (avevo scritto ignorato) al riguardo. Ed entrambi, il regista con la vocetta sottile e il corpaccione romagnolo, e il cantante irsuto e piccolino dalla voce strappata non si sa bene a chi, si confessano di avere bisogno di qualcun altro, di una conversazione, di un interlocutore o di una faccia, per pensare e sentire di esistere, e di sentirsi ogni volta cambiare, riesistere in forme nuove, proprio al cambiare delle persone a loro attorno.

È nato con il jazz, poi il beat negli anni ‘60, ha continuato folk, con Roversi ha fatto di tutto, dalla melodia alla ballata allo scat, poi ha preso ritmi funk, sincopati, per appoggiarsi e rilanciarli nel torrente delle sue proprie parole e note. Poi è andato verso un pop melodico, spruzzato di elettronica, arrivando anche al nazionalpopolare. Da bolognese ha scritto e cantato una (meta)canzone napoletana, Caruso, che poi non ha mai amato fino in fondo. Era un dilettante, speciale, mai specializzato.  Insomma Lucio Dalla ha cambiato tante volte - un album del 1993 si intitolava Cambio-, seguendo i suoni e la musica del momento, alle volte facendosi inseguire lui dalla musica e dal tempo, e negli ultimi anni i veri cambiamenti erano nei tentativi extramusicali, nelle regie di opere liriche, nei programmi televisivi, nella scrittura di un musical, ché era curioso, vivace forse vorace, e insomma si capiva che da un po’ di anni voleva e poteva più di tutto divertirsi, senza ulcere, con allegria, lui che si era disperato di averla cercata per una vita senza trovarla, anche se un po' di nostalgia non sembrava mai mancargli, un po' di frizzante malinconia. La sua vena musicale si era insomma inaridita, ma sembrava esser rimasto sempre sveglio, vispo, mezzo genio mezzo deficiente.

31 maggio 2011

Napoli, Italia

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Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.

30 maggio 2011

Milano, Italia?



Mentre tu sei l'assurdo in persona
e ti vedi già vecchio e cadende
raccontare a tutta la gente
del suo falso incidente...

26 maggio 2011

18 aprile 2011

Modernità e mobilità

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Madre in motorone che, sulla Salaria che si muove verso il centro, parla al cellulare incastrato nel casco, che puntualmente cade, e contemporaneamente smozzica qualche parola alla figlia dodicenne - più o meno - che, dietro, legge un libro da bambina cresciutella, diciamo pre adolescente, ché il colore del libro, che lei tiene con ambo le mani completamente presa, tenendosi solo con le gambe mentre la madre fa slalom, è di un pastello tiepido, e le parole son scritte grandi e distanziate. Al che ho anche capito che la differenza fra un best seller, o meglio un libro che si vorrebbe tale, e un libro da preadolescenti è nel fatto che il primo ha colori simili al secondo, ma una copertina lucida.

12 aprile 2011

Non ci si può che arrendere alle coincidenze

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Nel pomeriggio in libreria mi è capitato di trovare appoggiati su un bancone, uno sopra l'altro, tre libri assai diversi fra loro, tutti in copia unica, messi un po’ disordinati e quindi visibili, e mi son subito balzati agli occhi, ho preso il primo, poi il secondo, poi ancora più stupito il terzo. Mi piacevano pur non conoscendoli, ma in un certo senso riconoscendoli, ognuno infatti stava per lì per una mia fantasticheria o interesse, ognuno dei tre su un tema su cui ho scritto o scribacchiato, anche su queste pagine , e su cui ho saltuariamente letto e più spesso delirato.



Per non tirarla troppo in lungo, il primo era sul linguaggio comune, Leonard Bloy Esegesi dei luoghi comuni, il secondo sui dandy, Oscar Wilde La disciplina del dandy,il terzo sul rapporto fra linguaggio e morte (eh, lo so, ogni tanto son palloso anche a me stesso), Franco Rella Pensare e cantare la morte. Andato alla cassa il libraio è rimasto colpito dall’acquisto -sì, ovviamente li ho comprati, insieme ad altro-, perché i tre libri erano arrivati tutti e tre in mattinata e li aveva “sbollati” poco prima, lasciandoli sul bancone prima di metterli a posto. Gli ho spiegato che mi avevano fulminato, che mi sembravano messi lì apposta per me. Non ci si può che arrendere alle coincidenze, gli ho detto dandogli il bancomat, e nel dirlo ci ho creduto e ho capito davvero cosa intendessi nel dirlo, e perché nonostante i moltissimi ordini sul nuovo dannato ed economicissimo Amazon.it -fermateli, ve ne prego - io continui ad andare in libreria.

Il video di Whisper Not sta in questo post poiché era la musica in sottofondo nella libreria, caso volle che sia uno dei pochi brani che ho suonato dal vivo, qui è eseguita da Keith Jarret.

02 aprile 2011

Dio è morto, Marx è morto, il Blog è morto, e io* mi sento molto bene.

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Dicono in giro, anzi, lo dice la blogosfera stessa, che per l’ennesima volta è morto il blog, questa volta pare per davvero, come ogni volta. E questo blog allora finalmente esce da un equivoco. Si credeva vivo, vivacchiante, o al massimo morente, e invece era ed è morto, deceduto e trapassato, quindi può finalmente tornare alla vita, alla parola e ai post dopo un anno e molto più, solo che alla vita nella morte.

Insomma questo blog ricomincia da qui, dal suo essere zombie, un non blog - uno zlog? un blombie? fate voi. Supera così l’idea, che l’aveva avvizzito e azzittito, di dover dire qualcosa, di doversi esprimere, riferirsi a fatti, parole opere e opinioni, di dover essere un blog. Invece ora che il cazzeggio si è trasferito altrove -nel mio caso su friendfeed e su tumblr-, e che i contenuti son morti, sepolti forse, questo blog può uscire dalla sua tomba, ritornare sbrindellato, coperto di terriccio, sfavillante e putrescente insieme, ripetendo delle frasi idiote, senza volontà alcuna, e scoprire che al fondo di tutto, della bloggosità, del diarismo, c’è il diarismo stesso, non c’è contenuto né cazzeggio, ma pura e vuota referenzialità, esistenza da morti. Questo stesso post, questa desurrezione, altro non è che una purissima forma distillata di blog, un concentrato di niente, del dire che esistiamo -esisto- perché siamo morti. Partecipate e gioite rumorosi e numerosi. Ci si rivede da queste parti, con maggiore costanza di quanto la vita permettesse.

*l’io scrivente si scusa, ma non sa se questo stesso termine che gli si riferisce -"io"- denoti il blog stesso, l’autore di cotanto post, o un’altrettanta entità fittizia -insomma lo scrivente si scusa, ma non sa chi è.

18 maggio 2010

I cattivi ora sono solo ladri? [pensieri spersi]


Forse i cattivi ora sono cambiati, ora che la P2 è al governo, che i sindacati son divisi, la magistratura delegittimata, i media azzittiti, che ci sono quasi due soli partiti, insomma ora che il programma della loggia massonica Propaganda 2 (la seconda loggia massonica è la più difficile, nella carriera di un golpista) è realizzato, forse i cattivi rubano solo. Più che complottare per sovvertire l'ordine dello stato che è oramai loro, pensano solo ai soldi e alle case da farsi regalare, alle escort e alle tangenti; il complotto ora si è sciolto nel malaffare, nella corruzione, e però abbiamo parallelamente lo stato in sovversione continua -la loggia governante deve continuare a propagare e propagandare se stessa, salvare le proprie aziende, la propria impunità.

Insomma a distanza di 30/40 anni abbiamo cattivi più gretti e banali e prevedibili, meno spectre, mefistofele o rasputin, e più ladri. Forse è un effetto della loro istituzionalizzazione.

Ma d'altronde anche negli anni '70 e prosecuzione i cattivi non lo facevano (quello che facevano) per soldi? Perché fottere sindacati, giornali, mettere su una politica di stragi e tensioni e pensare a una "rinascita democratica", come la chiamavano loro, se non per fare soldi, senza troppi vincoli? Certo, c'è e c'era "il potere", ma il potere di fare cosa? i soldi stessi forse, o altro potere. C'era pure l'Urss allora, quelle cose chiamata ideologie e i due blocchi, ma, ammesso che ciò fosse tra i pensieri di Licio Gelli e compagni massoni, il problema con l'Urss era che se ci conquistava, se i cosacchi entravano a Roma (???!!!), i nostri amici della P2 avrebbero fatto meno soldi -"meno", ché un modo lo trovavano per mettersi d'accordo- e avrebbero perso (il) potere. Insomma Urss o PCI avranno convinto un po' di militari, o di reazionari puri, a tramare, ma l'intento generale pare fosse il solito -ah, comunque Urss e Pci erano "anticapitalisti", che coi soldi mi pare che c'entri.

Insomma i soldi erano e sono l'obiettivo (mi piace riscoprire l'ovvio); è il mezzo che è cambiato, niente logge e complotti e bombe, ora c'è il governo e le mazzette e le leggi dello stato -forse questa è la vera spectre. Ma questa non voleva essere una reductio ad soldonum, ad pecunias quae non olet.

In realtà, qui per iscritto, ché almeno mi distraggo di meno, volevo capire che cosa abbiamo dinanzi fra cricche, anemoni e prelati, e servizi e ior, e case e mazzette e mignotte, ché tutto sembra così identico e triste ripetizione degradata di quel che è stato, un mischione fra tangentopoli e anni '60 e '70, dove però tirare in ballo servizi e ior oramai non rimanda più a nessun golpe o aura di mistero, a grandi vecchi . Non l'ho ben capito -ancora, che ci ritornerò, temo-, siamo sicuramente dalle parti di Tangentopoli, di qualcosa di sistematico e diffusissimo ma credo ancora più organico allo stato di quello che fu prima, sia dei servizi deviati che della politica dalla mani sporche, e credo però drammaticamente più banale nella sua totale pericolosità, qualcosa del tipo "la ruberia come sovversione continua".

[ai pochi ed eventuali lettori, perdonate la confusione)

14 maggio 2010

La cricca dei muratori

A me la parola "cricca" non convince, mi sembra un understament, tipo eravamo 4, anzi 400 corrotti al bar. Tutti i sinonimi mi sembrano condividere la stessa debolezza, come consorteria, combriccola, congrega (allitterazione non voluta)

"Sistema" in effetti sembrerebbe troppo (era Saviano che per descrivere la camorra parlava di "sistema di Secondigliano", se non ricordo male), per lo meno perché mancano ancora la descrizione delle articolazioni e i meccanismi di funzionamento; e soprattutto questa non sembra una gioiosa macchina celibe da guerra. Insomma la sistematicità fa difetto alla tapparelle.

"Loggia" nemmeno funziona, abbiamo già dato, sebbene la struttura ciclica della realtà umana affascini tutti, da Vico agli sceneggiatori di Lost. Certo è interessante che da una loggia di muratori, che volevano ricostruire a loro immagine l'ordine sociale con la malta degli intrighi e dei complotti (oggi mi piglia così), siamo passati a dei muratori veri e propri, alla materiale ristrutturazione di case e palazzi come vero ordito dello scambio politico clientelare (il passaggio dall'ideale al materiale-di costruzione- prelude di solito grandi cambiamenti nel reale, vedremo). Marco Damilano su L'Espresso nota le affinità e le divergenza fra il maggio del 1981 in cui venne pubblicata la lista degli aderenti alla P2 e questo maggio più squallido e sordido, di tapparelle e affitti e pied a terre. Menzione d'onore a Publio Fiori, che compare in entrambe le liste.

Certo, ipotesi che non avevo considerato, è che chi usi la parola "cricca" faccia riferimento al dialetto romano, che la usa nel senso violento di "botte", "colpo", "pugno", del tipo ti "do 'na cricca in faccia che te sdereno". Il che in effetti sembrerebbe appropriato visto lo squallore dei personaggi coinvolti.

update: il mio mal di collo, l'umidità dannata e il maggio novembrino mi ricordano che per "incriccato", per lo meno a Roma, si intende "bloccato a livello muscolare". Mi sembra appropriato anche questo senso. Non c'è niente da fare, il linguaggio vince sempre.

13 maggio 2010

La divisa del portiere

Nel mio palazzo c'è un nuovo portiere («sporco borghese, fai quello di sinistra e poi vivi con il portiere, il cachemire, il radicalchicchismo blablabla» «grazie» [sempre ringraziare i propri sensi di colpa]); insomma c'è questo nuovo portiere, il secondo da quando quarant'anni fa è stato costruito il palazzo.

I miei condomini (l'ho detto che sono quasi tutti di destra? di alcuni lo so per certo, di altri da come si comportano) stavano approfittando per obbligarlo a tutta una certa serie di mansioni che non gli spetterebbero. Gli volevano far firmare un contratto in cui si sarebbe dovuto impegnare a portarci le buste della spesa, ad essere cordiale (!), e a portare la divisa per "il decoro del palazzo".

Per fortuna esiste un contratto nazionale dei portieri, e quindi si è ricorso a quello senza integrarlo con strane vessazioni (il mio vecchio vicino di pianerottolo, un decennio fa, chiamava la signora che gli faceva le pulizie "la serva", testuale).

Però poi da qualche giorno si è ripresentata la questione della divisa, si era deciso di farla mettere al portiere. E io, visti i precedenti, sbraitavo un po', del tipo "guarda sti stronzi" come sono violenti e classisti e parvenu e altri aggettivi più appropriati per descrivere questa situazione (presunta, ora viene il twist del plot colla gomma del capo che fa boom) di dei borghesotti benestanti che vogliono decoro nel palazzo, aggettivi che ora non mi vengono. Insomma mentre ero lì che sbraitavo ho scoperto che questa volta era stato lo stesso portiere a chiedere la divisa, a carico del condominio, di modo da non sporcare i suoi vestiti, non avendo lui molto soldi.

Ho paura a trarre qualsiasi morale.

11 maggio 2010

Gli attacchi (rimossi) di Saviano al capitalismo


ilpost.it oggi lancia un doppio intervento di Facci & Socci (per gli dei) dal titolo “Spiegate a Fede che Saviano non è comunista” -per chi non lo sapesse Fede ha detto delle stronzate su Saviano da fare ribrezzo perfino ad un Socci evidentemente.

Ora, io Gomorra lo lessi ai tempi, quando uscì, e non lo ricordo in ogni suo passaggio, ma ricordo distintamente Saviano descrivere il sistema infame e mostruoso attraverso cui le grosse imprese italiane fanno affari con la camorra, dai cucitori di abiti per Angelina Jolie in conto di non so quale marca d'extra lusso allo smaltimento dei rifiuti industriali. Ma nel denunciare l'intreccio fra criminalità e imprese, Saviano non lo vede come una distorsione del mercato, ma come una sorta di inevitabile conseguenza del capitalismo (anzi, una sua essenza).

O meglio, Saviano afferma che i metodi camorristici per ottenere appalti, riciclare soldi, spacciare e quant'altro siano di fatto una piena realizzazione del capitalismo neoliberista, insofferente (oggi mi vengono fuori degli eufemismi giornalistici, tant'è) a qualunque regola e vincolo. Non so se questo sia comunismo, ma una bella botta al capitalismo la dà.

Ho cercato al volo delle citazioni al riguardo, ed in effetti nel testo non sono pochi i riferimenti chiari e diretti. Ce ne sono alcuni che forse sono un poco obliqui:

-c'è il Kalashnikov «vero simbolo del liberismo, [...]non importa chi sei, non importa che pensi, non importa da dove provieni, non importa che religione hai, non importa contro chi e a favore di cosa, basta che quello che fai lo fai con il nostro prodotto» (p.150),

-c'è un'analisi dei cambiamenti del mercato della droga a Secondigliano e non solo letti nei termini di «laissez faire, laissez passer. Liberismo totale e assoluto. La teoria è che il mercato si autoregola. [...] La liberalizzazione assoluta del mercato della droga ha portato a un inabissamento dei prezzi.» (p.57)

-frasi più nette e sbrigative del tipo «Tutte le merci hanno origine oscura. È la legge del capitalismo» (p.25), o i camorristi visti, con una certa inventiva, come «samurai liberisti» (p.97)

Ma oltre a questi attacchi, che son più facili -ma nemmeno troppo- da eludere, ad un certo punto Saviano esplicita chiaramente la sua idea, quando scrive:

Non sono gli affari che i camorristi inseguono, sono gli affari che inseguono i camorristi. La logica dell'imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neoliberismo. Le regole dettate, le regole imposte, sono quelle degli affari, del profitto, della vittoria su ogni concorrente. Il resto vale zero. Il resto non esiste. (p.97)

Online di tali temi se ne trovano alcune tracce, ma ahimè di questa sua tesi mi pare se ne sia parlato davvero poco, e purtroppo (comprensibilmente, ha bisogno di visibilità e consenso per proteggersi) non ho sentito Saviano ribadire il concetto. Si è preferita questa ecumenica idea di eroe bipartisan, che combatte trasversalmente la criminalità, invece di uno scrittore schierato, di parte (questo è il male del veltronismo, da quello che ne ho capito), che si azzarda e si arroga il diritto di provare a dare spiegazioni forti, che si contrappongono ad altre visioni della realtà -sì, questo blog prova a continuare ad occuparsi della realtà.

Insomma la rimozione (nostra prima che sua) di questi tesi del suo libro è inquietante, ma non possiamo continuare a propagandarla con tanta facilità; molti dei bloggers moderni e esterofili che fanno parte de ilpost.it esaltano spesso il fact-checking di tradizione angloamericana (fare le pulci e controllare quanto altri giornalisti, politici e simili affermano), il direttore Luca Sofri ha una sua propria rubrica sulla Gazzetta dello Sport che si occupa di questo, beh, sarebbero pregati di maggiore coerenza.

23 aprile 2010

José che scrive e vive più e più volte


Oggi entrando in libreria per festeggiare degnamente la festa mondiale del libro, ovvero lo sconto del 20%, ho scoperto che José, José che stava per morire e Pilar ce l’ha ridato, José che ci ha reso ciechi, inermi e avvolti da un bianco lattiginoso come nemmeno il nulla, José e il suo manuale di pittura e calligrafia, iniziazione vera e sublime alla scrittura che tanto vorrei, José duplicato, José Ricardo Reis, José blogger, José Saramago ha scritto un nuovo libro, Caino.

Inizia così:
Quando il signore, noto come dio, si accorse che ad adamo ed eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c’era nessun altro nel giardino dell’eden cui dare la responsabilità di questa mancanza gravissima, quando gli altri animali, tutti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti, cinguettii, fischi e schiamazzi, godevano già di voce propria. In un accesso d’ira, sorprendente in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l’altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua. (se volete segue su repubblica, ho scoperto che l’hanno messo pure loro, e son più bravi a copiare)
Per la seconda volta José che ha trovato la caverna, ha sospeso la morte per gioco e per vero, se la prende con dio e con le sue storie, e dopo Il vangelo secondo Gesù Cristo ritorna alla bibbia, in questo caso dal versante del vecchio testamento, la parte con più azione, sangue e incesti per capirci, e alle prevedibili (istintive? automatiche? pavloviane? spiritate? non so bene come caratterizzarle) reazioni della chiesa, che d'altronde vive da tempo solo di reazioni e reazionari, José che ha vissuto nell'elefante, José che non pubblica più con Einaudi, José che è già mago da tempo ed ha adempiuto all'omen che accompagna il suo nomen, insomma José lettore e scrittore ha risposto semplice semplice, chiaro chiaro, rivendicando (nient'altro? ma è tantissimo, quasi tutto) il suo essere lettore e scrittore, dichiarando:
«La Chiesa vorrebbe piazzare un teologo dietro ciascun lettore della Bibbia per spiegargli ciò che sta leggendo e sostenere che quello che legge va interpretato in modo simbolico. Ma il diritto di riflettere appartiene a ciascun individuo»

25 gennaio 2010

Sulle origini del pedobattesimo

Il primo libro della Storia ad essere censurato dalla Chiesa Cattolica fu "Discorso contro i Cristiani" scritto da Porfirio nel III secolo. Furono bruciate tutte le copie di questo libro e, ad oggi, ci rimangono solo alcune citazioni riportate da altri testi latini e greci. Ecco cosa riporta Wikipedia sulle idee espresse in quel libro:

"si chiede Porfirio, com'è possibile che un uomo possa lavarsi in questo modo da tante macchie e diventare puro (katharos)? Com'è possibile che con dell'acqua (con il battesimo) un uomo possa eliminare le proprie colpe e responsabilità? Com'è possibile che «fornicazione, adulterio, ubriachezza, furto, pederastia, veneficio e infinite cose basse e disgustose» siano così facilmente eliminate «come un serpente depone le vecchie squame»?
A questo punto «chi non vorrebbe commettere ogni sorta di nefandezza, sapendo che otterrà attraverso il battesimo il perdono dei suoi crimini?»
La filosofia dei cristiani incita all'illegalità e toglie efficacia alla legge e alla giustizia stessa; introduce una forma di convivenza illegale e insegna agli uomini a non avere timore dell'empietà.
Quindi nel Cristianesimo «chi è onesto non viene chiamato»."
Le prime cerimonie di battesimo fatte sui bambini risalgono ai primi secoli del cristianesimo e nel IV secolo si verificò una crisi del pedobattesimo. Questo significa non solo che Porfirio ci aveva visto giusto ma anche che il pedobattesimo era già una prassi abbastanza consolidata da poter destare scalpore una sua crisi. Non è improbabile che le idee di Porfirio circolassero quindi già nella giovane società cristiana e si volesse proprio attenuare il potere salvifico del battesimo. Nel pedobattesimo, infatti, è il solo peccato originale ad essere cancellato, mentre tutti i peccati che la persona compierà non avranno di certo la copertura battesimale. Durante la crisi del IV, infatti, molti cristiani si facevano battezzare in punto di morte. Il successivo riconsolidarsi, fino a diventare regola, della prassi del pedobattesimo, placò le critiche così aspramente soffocate dalla censura, come nel caso del libro di Porfirio.

Ovviamente nei secoli si è sempre cercato di trovare scorciatoie per recuperare la perdonabilità totale, da cui l'invenzione della confessione (con relativa penitenza emendatrice di peccati), la vendita delle indulgenze e gli anni giubilari (col magico attraversamento delle Porte Sante). Tradito una volta l'insegnamento di Gesù sul battesimo in età adulta, non si sono più avuti tanti scrupoli a continuare a stravolgerlo.