24 gennaio 2009

quanto la tangenziale ti regala un quarto d'ora, ovvero usare le basiliche come scorciatoie

L'altro giorno, in quella strana dimensione fra lo ieri ed il trapassato prossimo, qui a Roma era quasi primavera, pioviccicava, e mi prendeva voglia di togliermi il cappotto, poi di fatti me lo son tolto, ed ero quasi felice di questa quasi primavera, di scappottare un po' godendo dei frutti di fuori stagione, che poi sempre in quell'altro giorno ero in anticipo dalle parti di piazza san Giovanni, beneficiato da una tangenziale che il primo pomeriggio non conosco e non mi conosce nemmeno lei ed allora ci siamo trovati inaspettamente soli, è stato bello e così siamo arrivati al dunque prima del solito. E come tutte le rare volte che sono in anticipo da quelle parti, preso da questa primissimavera, mi son fatto una breve camminata lungo le pozzanghere, fino alla basilica, o forse Basilica, che non ho ancora capito non solo come si scrive ma pure se mi piaccia o meno, l'interno intendo, e ogni volta sto lì e mi dimentico di controllare, e mi perdo un po'.

Stavolta, per dire, sono andato subito avanti, verso l'abside, mi attirava questo trono centrale che d'altronde sta lì a posta, e c'era questa atmosfera tra il film fantasy e l'impero (romano? non proprio), con la cattedra papale, chiaramente di molto più moderna del bellissimo mosaico che ci sta sopra, che suona e riflette opaco, di un color oro cupo, di sproporzioni e di mostri da tardo medioevo. Sembrava un set, un bel set moderno, con le luci giuste, finte di quel finto che ci credi, e poi il trono -nel mondo, nelle chiese, nei ritagli di tempo dati dalla tangenziale, ci sono stati e ci sono i troni, ma pensa te- il trono tutto isolato dal resto, dalle panche di legno messe ai lati, che ci saranno passati dei metri di distanza, bianco ma non candido, bianco imponente incorniciato in oro-aureola, con di base quattro gradini che si restringono sempre più, tipo piramide a gradoni, tutti belli fregiati che davano proprio questo senso di potere ma pure di sacro. E devo dire che ero conquistato, aspettavo che da qualche porte arrivasse qualche cavaliere, qualche messere o giullare, qualche dama da corte, qualcuno pronto a farsi nominare qualcosa dal trono stesso, che era così bello, stabile, schietto e ispirato che poteva fare tutto da solo, senza quegli orpelli che ci mettono sopra tipo i re o peggio ancora i papi re -che poi penso ora che scrivo, più allora che vedevo, quando si dice salire al soglio pontificio, beh mi sa che ci si riferisce a questo di soglio/trono, no, così almeno so con chi prendermela.

Insomma stavo lì che aspettavo di sentire un bel rumore di armatura, spade e lance da benedire, un bel misto fra barbarie e stendardi, un clavicembalo, insomma tutta roba da palazzo più che da chiesa, ed effettivamente la cosa che mi piace di più di San Giovanni, della basilica dico, è che non è poi tanto una chiesa, tant'è che ogni volta che ci finisco in realtà vado lì con un unico fine, vedere se pure quest'altra volta, in questo altro giorno, qualcuno la usi semplicemente come passaggio, come modo per tagliare dalla piazza dove sta il battistero che è la vera piazza San Giovanni, e la piazza del concertone che è piazza di porta San Giovanni (distinzione appena scoperta in rete, ché so' ignorante). Se si entra dal lato destro del transetto e si esce dall'entrata principale, o pure viceversa che in chiesa non c'è senso di marcia, si risparmia la circummavigazione di tutto il complesso del palazzo, qualche minuto a piedi, e visto che il razionale è reale, beh c'è chi lo fa. Così da qualche anno, da quando in uno degli anticipi da quelle parti mi capitò di vedere tre o quattro persone che entravano spediti e così riuscivano, il mio piccolo gioco personale è vedere in quanti lo facciano nei pochi minuti che sto lì. E' che la trovo, boh, una cosa divertente, anzi no, stimolante, che ci si potrebbe pure giocare fra "chiesa", "luogo" e "passaggio", su riappropriazione del terreno e contemporanea completa e per me strana indifferenza a quello che c'hai attorno, dà proprio da pensare e da sentire questa "scorciatoia religiosa", e io ci gioco spesso quando sto lì, e mi rimpallo le cose in testa, ma ora sto qui e quindi ve le risparmio. Insomma in questo altro giorno, dico quello che è diventato 'sto post, alla fine, ma proprio alla fine che stavo quasi per passare dall'anticipo al ritardo, prima due signore, una con i tacchi un po' rumorosi e l'altra o forse la stessa che lasciava una traccia di profumo proprio forte, si son fatte la navata di destra senza guardarsi attorno, dritte per dritte, e dopo il rapidissimo segno della croce di una, sono uscite. Poi un signore giovane che però ti veniva di dargli del "signore", con tanto di valigetta, con la faccia da seminarista ma che mi sa che seminarista non era, con le cuffiette alle orecchie si è fatto lo stesso percorso senza segni di croce o altra interazione con il sacro ed il profano del luogo.

Al che, dopo queste ennesime conferme di non so che, uscii soddisfatto a riveder la pioggia.

15 gennaio 2009

L'ACCADEMIA COME GIOCO DELL'OCA

È online il nuovo numero della rivista Nuvole: L'ACCADEMIA COME GIOCO DELL'OCA. Lo speciale dà voce a un gruppo di (cosiddetti) "precari della ricerca" dell'Università di Torino, che hanno deciso di abitare lo spazio di intervento politico, offerto dalla redazione, in maniera non programmatica ma esplorativa. Avviare una vera e propria indagine sulla ricerca è un modo di esprimere dissenso nei confronti delle recenti manovre del governo, delle semplificazioni propagandistiche (e dello scandalismo volgare) che investono il dibattito sull’università, ma anche un piccolo tentativo di contrastare il senso comune che nega l'utilità pubblica della ricerca.

La ricerca scientifica costituisce un obiettivo polemico fin troppo comodo. Rispetto a ospedali e scuole, il suo valore è meno evidente nella percezione della stragrande maggioranza dei cittadini. Proprio come la Welfare Queen di cui parlava Ronald Reagan durante i comizi elettorali che nel 1980 l'avrebbero portato alla presidenza degli Stati Uniti: una donna grassa - dove "grassa" in realtà stava per "nera" - che andava in giro in limousine a spese dell'assistenza sanitaria pubblica. Come a dire che, se lo Stato la smette di dissipare a destra e a manca per scopi assistenziali, sarà finalmente possibile riconoscere e premiare il merito. La storia è falsa, a testimoniare che l'ossessione per gli sprechi del pubblico viene gonfiata a furia di iperboli, al bar come sulle prime pagine dei giornali; in secondo luogo, essa si fonda sull'uso di una caricatura che viene innalzata a rappresentazione del sistema.

Perché L'accademia come gioco dell'oca? La metafora di un vecchio gioco di società, che esiste da cinquecent'anni, ma cambia leggermente ad ogni nuova edizione, propone una descrizione del mondo universitario dall'interno, registrando la sovrapposizione di circostanze, regole e attori che configurano lo scenario su cui si abbattono i recenti tentativi di riforma. È un percorso ad ostacoli, dove occorre esaminare tabellone, giocatori e regole.

Per leggere il numero: www.nuvole.it
Per informazioni e commenti: ricercatoriumanisociali@gmail.com