28 maggio 2008

Locomotive e Bufali: per un'esegesi di "Per brevità chiamato artista"

Ancora esegesi de gregoriana –quella biblica pare occuperà raiuno per una settimana intera in ottobre-, ed ancora sulle contraddizione, sul gioco degli opposti congruenti che in De Gregori è centrale - lui è quello di Prendere e lasciare. Qui si parla della canzone manifesto, anche se un po’ sbrindellato, che dà il titolo al nuovo album, ovvero Per brevità chiamato artista. Questo gioco fra parole, prima opposte poi associate in schemi ripetuti ma spostati attraverso contraddizioni o straniamenti, a volte è veramente bellissimo, spontaneo, non sai che aspettarti da ciò che verrà, in altri casi diventa banale, ed io mi dispiaccio ché non ho ancora capito se una canzone la puoi amare a “pezzi” o no -i versi sì, li si fa a pezzi, ma la canzone mi sa che è un intero, tipo le persone, «pezzi che non siete altro»!

Ecco le immagini affascinanti che FdG tira fuori per darci e darsi conto, brevemente ché son solo canzonette, della sua artisticità e quello che sta dietro la definizione breve:



Per brevità chiamato artista
come una scimmia [elegante diminutio, ma che rimanda alla libera selvaggeria di cui inorgoglirsi] sulla schiena di qualcuno [per arrivare sulla spalle dei giganti? Dylan? fatti suoi?], come un uccello sul filo o un ubriaco per le scale [che evidentemente cammina proprio fra pezzi di vetro ed è difficile rimanere in piedi], che quando cade sa cadere e non si fa male o non lo fa vedere [che qualcosa sa fare, non vi preoccupate, non è solo un pazzo appeso a un pezzo (di filo)].

[e poi arriva la più bella espressione di doppia doppiezza, di mendacità e di trucco per le allodole] Doppio come una medaglia se fosse d’oro sarebbe cartone.

[E poi inizia con la prima cosa iperprevedibile]
Il cieco con la voce buona
e il muto che ci vede bene

[da qui in poi, per seguire il suo filo, Fdg non sta più sul pezzo, lo sgretola, infatti è un susseguirsi di lampi di genio e di tenebre di sciatteria; i versi notevoli e intelligenti sono inzaccherati da quelli che li seguono o precedono. In realtà nella strofa di mezzo ancora regge, ché sebbene la diade mediocre illuminista-cattolico, Fdg riesce a smontare e troncare non male due frasi fatte, ridandogli vita]:

che insegue il mattino alla luce del giorno
E dice pane al pane
e al vino.

[Ma poi riesce ad incorniciare un bellissimo verso con due fetecchie pre e post, ché lontano-vicino non si può sentire, Francé, davvero]

Doppio come l’ innocenza se fosse Abele sarebbe Caino
Antidoto senza veleno e alibi senza assassino
Perdonami se sto lontano e cercami vicino

E così ci si avvia alla conclusione, innanzitutto con riferimenti più espliciti a sue vecchie canzoni che d'altronde sta parlando di sè, e poi per chiudere ahimé in bruttezza inanella le ultime giustapposizioni fra versi Locomotiva (che hanno la strada segnata, donde la prevedibilità, la macchinicità) e versi Bufalo (che possono scartare di lato, pure cadere certo, magari al femminile essere truffaldini e falsi–chissà perché si dice così?- o fare mozzarelle all’uranio impoverito con cui alimenteremo le nuove costruende centrali nucleari, ma son vivi, imprevedibili nella corsa e dunque reali come poche cose al mondo).

Roba tipo:

Come un gatto dentro a un canile
Come un ladro tra i truffatori

Oppure

Doppio come un doppio gioco
se dice oggi intendeva domani

Insomma, mio amato FdG, ti ricordo che tu avevi scelto per i Bufali, erano quelli ad avere deciso l'avvenire dei tuoi baffi, nonché sorte e tuo mestiere, tu cacciavi per essere il migliore, non è che mi sei diventato vegetariano?

«Mythical is not a word I even knew at the time»

un ricordo di Sydney Pollack che parla di uno dei suoi capolavori, il silenzioso e affascinante Jeremiah Johnson, qui da noi Corvo Rosso non avrai il mio scalpo. qui una bella "sintesi" video del film

25 maggio 2008

De Gregori ed il principio di contraddizione


Francesco De Gregori
in giovane età mi introdusse ad uno dei grandi principi della vita umana, che inombra e trascende la pur tragicamente veritiera “regola dell’amico” di Pezzali, le regole sfigogene di Murphy o perfino la più neutra legge di gravitazione universale , ovvero il fondamentale principio di contraddizione. C’è un verso de La lega calcistica della classe ’68 che recita, anzi canta dei giocatori tristi che non hanno vinto mai e che

sono innamorati da dieci anni con una donna che non hanno amato mai.

Dentro questa frase mi ci iniziai a perdere a tredici/quattordici anni, mi immaginavo, mi chiedevo di questo innamoramento che non è amore, pensavo senza troppo capire alla falsità di sentimenti veri (?) che va oltre a quelle cose da romanzo, o da vita quando uno se la racconta, in cui il protagonista realizza che non ha mai amato la sua (presunta) amata. Qui infatti non si nega l’innamoramento, ma l’amore, non una roba del tipo «non ti ho mai amata», piuttosto «nel mio innamoramento non ti ho mai amata», e sta cosa mi affascinava perché seppur incomprensibile, contraddittoria linguisticamente e sentimentalmente, c’aveva una sua plausibilità per me, e non caso c’avevo proprio a che fare con la tristezza, con la malinconia del paradosso.

Una volta, in macchina con un amico, e stiamo parlando di quasi un decennio fa, mi ritrovai pure a difendere questa frase, che lui si ricordava in maniera diversa e che rigettava come impossibile e riformulava in maniera più coerente; ero sicurissimo di me nella panda bianca dalle parti di Prima Porta e ribattevo che era così come la trovate poche righe qui sopra, che ero pronto a scommettere somme enormi, ma dentro di me ero terrorizzato che avesse ragione, che uno dei pezzi fondanti della mia vitarella fosse un fraintendimento. Tornato a casa, e controllato con le mie orecchie che il verso era quello che ricordavo, fui soddisfattissimo, ed all’amico l’ho fatto presente qualche volta negli anni successivi a mo’ di ripicca.

Ieri sera c’era De Gregori da Fazio alla tivvì, e l’ha cantata. Sarà stato il pesto ingurgitato, lo scazzo, la prosaicità dell’età che avanza e concede meno alla fascinosa irragionevolezza (in realtà a me sembrerebbe il contrario), insomma, ho capito che forse, sottolineo forse, avevo frainteso il tutto, o per lo meno (salvo il salvabile) sia possibile un’altra lettura della frase adorata. Insomma, ieri sera ho capito che esiste una lettura prosaica e banalotta (e De Gregori all’epoca non era banale), ossia che ‘sti giocatori tristi fossero innamorati (verbo di stato, di sentimento) di donne che non amavano (verbo di azione), con cui quindi non si davano a baci, carezze, amplessi tantrici od anche fosse solo scambio di coppie in privé bui e fumosi. Per me i due verbi erano verbi di sentimento, di azione sì ma sentimentale, desiderativa , non avevo mai pensato, ma proprio mai per più di un decennio, che quel “una donna che non hanno amato mai” si riferisse a qualcosa di concreto, prosaico, al sesso, al contatto fisico, o più in generale all’essere riamati e compiere così il loro sentimento, per cui i giocatori tristi non sarebbero altro che dei desideranti che non ottengono mai –per dieci anni appunto, che qua i dieci anni e dintorni stanno tornando spesso- ciò che desiderano, la donna.

Ora potrei sperare di dimenticare tutto ciò in un bel sogno o dentro un’altra canzone, e un po’ sono tentato, in realtà non è che mi importi molto se davvero questo sia “il vero significato” del mio adorato verso, o di quale sia il suo reale significato, più che altro le due letture sono fuse nella mia testa, l’una sull’altra, forse ancora più contraddittoriamente, e non posso fare a meno di pensare al fatto che noi essere umani siamo l’unica specie animale che l’amore non lo impara facendolo, provandolo, ma piuttosto parlandone, leggendone storie, ché è da queste cose che si vede un essere umano, un essere umano lo vedi dalla confusione, dal desiderio e dalla fantasia.

13 maggio 2008

Sensualità a corte: Berlusconi ed i bigliettini

Allora, nun ve fate fregà -non so nemmeno più a chi mi rivolgo, al Pd? a me di quelli non me ne potrebbe fregare di meno, se solo non fossero "l'opposizione", l'ombra di un opposizione-, insomma non facciamoci fregare da quello là che finge di fare lo statista -l'ho appena sentito dire da Massimo Giannini di Rep, a Giannì, svejate- e fa il bipartisan, dice che non è ne è mai stato un uomo solo al comando, e i pd-ini applaudono. Meno male che c'è il sempre in palla Zoro che riporta e commenta come la Finocchiaro (si quella che difende Schifani) abbia detto di «aver apprezzato i toni di Berlusconi ma di averne trovato generici i contenuti. Ao, "generici" ja detto, mica cotica, ditemi voi se questa non è un'opposizione tosta e cazzuta, daje, forza. Per me è un'ottima partenza, temevo peggio». Insomma sveja, sveglia se non siete romani, che la cosa centrale di oggi sono i bigliettini di Silvio IV a Nunzia e Gabri, due giovani ed "avvenenti" parlamentari del Pdl, in cui dice, testuale

«Gabri, Nunzia, state molto bene insieme!
Grazie per restare qui, ma non è necessario.
Se avete qualche invito galante per colazione,
Vi autorizzo
ad andarvene!»

Non è necessario restare qui! Le autorizza lui, e la sottolineatura è del bigliettino stesso (vabbè, qui ogni parola meriterebbe sproloqui). e loro che je rispondono:

«Caro...(Non si legge) gli inviti galanti li accettiamo
solo da lei. E poi per noi è un piacere essere... (non si legge)»

Silvio IV mica è un fesso - il re è nudo, non necessariamente fesso, fessi semmai sono quelli che non dicono che è nudo- e 'sto fatto dei bigliettini l'ha sbandierato ai quattro venti,  facendoli consegnare tramite i commessi della camera. E visto che non è fesso sapeva che i teleobiettivi lì alla camera sono potenti -ce fosse mai n'altro sputazzo da catturare all'istante-, e che non ne sarebbe sfuggito il contenuto. Insomma il modello di governo e parlamento di Silvio IV è la corte -in ambo i sensi-, la sovranità totale che tutto può; se le due parlamentari siano o meno cortigiane non sta a me dirlo, certo che lui le tratta così, dispone di e per loro. Farà lo stesso anche con noi. Altro che statista, ma nemmeno piacione, il messaggio di oggi è chiaro, vuole fare il monarca ed il monarca sarà (qui avevo provato già a mostrare come fosse evidente già dal caso Carfagna) ed i monarchi son sempre arrapati e dei pettegolezzi ci si nutrono, sono essenziali alla loro stessa forma di stato che è la loro immagine di conquistatori e potenti.

Avviso ai naviganti: Tabard 7

La rivista Tabard, un pò militante, un pò relativista, un pò bolognese ma non solo, ha raggiunto da poco il suo quarto numero primo, quindi il 7 (ricordo ad i distratti che il numero 1, per qualche complessa emendazione della teoria che non ricordo, è da un po' che non è considerato un numero primo), in cui norsignori si discute e si divaga delle varie discipline di secondo ordine, ovvero che riguardano a loro volta un'altra disciplina, come la traduzione e la critica, il tutto condito da interviste (quella a Kadhim Jihad Hassan, traduttore di Dante in arabo, è da non perdere) recensioni e quant'altro. Personalmente ho scritto una roba sul fatto se la filosofia sia o meno lo specchio della realtà ed altrimenti che cacchio sia (la soluzione ha a che fare con il linguaggio...), sembra palloso, forse lo è, io di mio, come ogni volta, mi son divertito ed ho cazzeggiato (memento cazzeggiare semper).

Qui c'è il grazioso pdf, per chi sta dalle parti di Bologna c'è anche la versione cartacea, dove e come trovarla lo scoprite nel blog di Tabard, che da una vita sta pure nel blogroll qua a destra ed in cui trovate anche gli altri numeri ed i vari eventi tabardiani connessi.

12 maggio 2008

Miracolo del giornalismo

Per la prima volta nella mia vita condivido un articolo di giornale dalla prima all'ultima parola.
Una sola domanda: per quale motivo il candidato premier del partito democratico alle scorse elezioni non era Stefano Rodotà?

10 maggio 2008

Anche le favole fanno sesso: lost girls

( a proposito delle fiabe di cui poco qui sotto)

La puzza di bruciato delle bandiere di Israele sta coprendo il vero evento, ancor più "scandaloso", dell'ultima fiera del libro di Torino, ovvero l'uscita del secondo numero (di 3) di Lost Girls, il fumetto -graphic novel fa troppo fighetto- scritto da mr Alan Moore (Watchmen, V for Vendetta, From Hell ed altre gemme) e disegnato dalla consorte Melinda Gebbie, che narra le avventure erotiche di Lady Alice Fairchild, Dorothy Gale e Wendy Darling, rispettivamente da Alice nel paese delle meraviglie, il mago di Oz e Peter Pan. Gli eventi ed i sottotesti delle rispettive fiabe di provenienza vengono riletti in chiave erotica quando le tre si incontrano in un castello -ad età diverse, che Moore si è fatto i calcoli- nell'europa centrale quando si sta affacciando la prima guerra mondiale, uno dei temi infatti è proprio il contrasto netto fra follie della guerra e gioie e complessità del sesso e delle sue fantasie(ma è più intelligente di così, fidatevi), con dei meccanismi raffinati (la storia di Alice la vediamo solo riflessa nello specchio) ed un atmosfera un po' hippie un po' bohemien. Ci hanno messo 16 anni a realizzare questa ennesima perla, tutta dipinta con uno stile un po' art noveau, molto libero, molto anni '60, esplicito ma mai freddo. Caldamente (ehm) consigliato. (pare si trovi perfino in feltrinelli)

È anche colpa nostra?

A tutti quelli che considerano i fatti di Verona una bravata da ragazzi annoiati;
a tutti quelli che vedono nel maschilismo berlusconiano la liberazione dalle catene del politically correct;
a tutti quelli che, contro il gay pride, dicono che non esiste nessun diritto all’esibizionismo;
a tutti quelli che liquidano il razzismo dei comizi leghisti (tipo “cacciamo bingo bongo”) come un semplice artificio retorico;
a tutti quelli che sostengono che la precarietà aumenti l’occupazione;
a tutti quelli che affermano che l’obbligo di reimpianto degli embrioni sia un modo per prevenire la deriva eugenetica;
a tutti quelli che ritengono la tortura l’unica arma contro il terrorismo;
a tutti quelli che hanno dimenticato che il ’68 è stato, prima di tutto, una battaglia di libertà.
A tutti loro, a destra e a sinistra, dedico questa citazione del grande Flavio Baroncelli:

“In sostanza, oggi la via maestra per distruggere sul piano ideologico la sinistra è il ridicolo. Le analisi critiche profonde non servono a molto: così come si impone la libertà liberista con un semplicismo che avrebbe scandalizzato Adamo Smith, allo stesso modo si può riesumare un modello umano macho, ferino, arcaico, che se la ride della balbuzie morale della sinistra.
Le accuse di bigottismo, di burocratismo, di mancanza di umorismo e di sano common sense sono l’arma migliore. Usandole, la destra fa anche appello a valori estetici e umani che noi stessi condividiamo. Sono quei valori che ciascuno di noi ha perseguito quando ha smesso di frequentare, per esempio, questo o quel bigotto leninista, questo o quel fanatico ottuso che poi entrò nelle Br, e quell’altra insopportabile pedantona che, come apri bocca, dimostra che hai commesso un crimine contro le donne [aggiunta mia: questo o quel cretino che brucia le bandiere di Israele]. E dunque accade che noi ci divertiamo e troviamo la cosa liberatoria, e non capiamo che il vero bersaglio siamo noi, la maggioranza della sinistra.”

Berlusconi, le fiabe e la Carfagna

(warning: tiritera in arrivo)

Ho una personale ossessione, e incaponimento conseguente, per le parole, i simboli, i miti, perché ho sempre pensato che gli uomini siano tutto tranne che agenti razionali, economici e sensati, ma piuttosto dominati - e raramente liberati- da riti, fiabe, linguaggi e strutture che non possiamo negare pena l'annegare in essi. I pochi avventori di questi blog (venghino, venghino, che il vino è buono) se ne saranno ahi loro resi conto, e la gran parte dei post, non solo miei, che ho raccolto sotto l'etichetta "se non la realtà" ha questa labile e stolta idea in comune. Oggi sono stato quindi decisamente interessato dal trovare quest'analisi di Filippo Ceccarelli sulla ministra delle pari oppurtunità Mara Carfagna, uno dei casi più scabrosi (scegliete voi il senso che volete) del nuovo governo, vero e proprio simbolo della nuova legislatura e di ciò in cui pesca il berlusconismo sempre più compiuto ed attuato- d'altronde le donne son sempre state motore immobile di ogni storia epica, di qui la loro centralità e la loro prigione. Ecco qui un taglia e cuci abbastanza libero di parte dell'articolo:

Se c'è un personaggio che meglio di chiunque altro incarna la maturità politica di Berlusconi, la sua morbida volontà di potenza, la concezione proprietaria della post-democrazia, l'aderenza ai tempi spettacolari e perfino felliniani, ebbene è Mara Carfagna. Il prevalere di una sovranità che procede per investiture; il primato della fiaba meravigliosa sulla cruda e monotona realtà; la superiorità tutta televisiva delle forme ornamentali sull'astratta prosopopea dei contenuti. Se solo si pensa che tre o quattro anni orsono questa giovane ragazza di Salerno era una delle tantissime soubrette di una delle sei o sette rete televisive che contano, e ora è stata posta alla guida di un ministero, beh il caso Carfagna dimostra come mi minimo che qualcosa si è rotto, qualcosa è cambiato nell'universo del comando.

Berlusconi si è sempre presentato come colui che voleva rompere con "i vecchi riti della politica", ed il caso della bella ed il cavaliere (cacchio, il "cavaliere") mi sembra emblematico di quali vi abbia sostituito. Si è detto che nell'ultima campagna Berlusconi abbia abbandonato l'idea del sogno, struttura essenziale della sua prima scesa in campo, e che abbia iniziato ad essere "realista", ad annunciare e prevedere crisi economiche da gestire, eppure l'impalcatura è rimasta, la fiaba è ovunque. Questo governo in cui, oltre Tremonti, non esistono altre figure di spicco (fuori i Formigoni, i Fini, i Pisanu, ovvero i pochi con qualche rilevanza personale) è stato definito come profondamente berlusconiano come non mai, dunque siamo dinanzi ad un Re che tutto dispone e che si è impegnato ad elargire i vari ruoli. Le sue varie battute maschiliste nella campagna elettorale («nel gruppo di Forza Italia vige lo ius primae noctis», «le donne ci piacciono di facili costumi») andavano proprio in quel senso, di rinforzo al sogno fiabesco ed ai rituali del sovrano che tutto può. La Carfagna in questo senso, a proposito di Fellini citato da Ceccarelli, sembra un'incarnazione estremamente articolata della Saraghina di 8½, o Gradisca di Amarcord, e di una principessa dei bei tempi. Mi pare dunque che abbia ragione Ceccarelli ad evidenziare «la superiorità tutta televisiva delle forme ornamentali», forse ancora più letteralmete di quanto egli creda. I problemi tirati fuori in campagna elettorale, dalla bellezza delle donne di destra fino alla famigerata questione sicurezza, sono "formali", non sono contenuti -seppur certamente li veicolino- ma modi di presentazione e articolazione della realtà, che la selezionano ad uso e consumo. L'amico Massimo, che ora è tornato qui sotto a scrivere per il blog, spesso mi ha detto che lo scuotere il problema sicurezza altro non è che un porre una diversa priorità ad un problema che, se esiste, c'è sempre stato, fra anni di piombo, mafie e camorre, una mossa quindi che ha quindi cambiato la nostra struttura politica, e devo dire che qui son d'accordo con lui e forse quello che sto provando a dire va proprio in questo senso.

Berlusconi stesso è una grossa struttura -così come strutturale è il suo conflitto d'interessi- che ha permesso a contenuti vecchi (il fascismo di An, il leghismo di Bossi così come altre istanze retrive e reazionarie) di riguadagnare la platea, di svolgere vari ruoli (Bossi forse è il buffone di corte? in parte, insieme a Schifani o Bondi), e presentarsi come vincenti. Bisogna opporsi dunque a queste fiabe, l'alternativa non è però un'uscita dalle strutture per un ipotetico approdo alla realtà vera, lo psicanalista Lacan, dinanzi ad uno studente francese che nel '68 affermava «Io sostengo che è fuori che bisogna andare a cercare i mezzi per buttare all'aria l'Università», rispose «Ma fuori da cosa? Perché quando uscite di qui diventate afasici? Quando uscite, continuate a parlare, di conseguenza continuate ad essere dentro. Le strutture camminano per strada». L'alternativa è semmai trovare nuove fiabe -il comunismo, utopico o scientifico che fosse, è sempre stata una grande narrazione, con buoni e cattivi, aiutanti e belle in pericolo da salvare-, nuovi miti e riti (nell'Olimpo del Pd c'erano cose e personaggi ridicoli), altre serie televisive (no, Walter, non Happy Days che tanto ami), che in qualcosa toccherà prima o poi credere e vivere. A.A.A. Cercansi proposte.

08 maggio 2008

She's over...

Nel giorno in cui il mio paese viene ferito dall’ennesima lista berlusconiana (quella col Ministero della semplificazione mentale), un’altra brutta notizia arriva da oltreoceano.
She’s over! Hillary non ce l’ha fatta a rimettersi in carreggiata e ormai non ha praticamente più speranze di ottenere la nomination democratica.
Non mi permetto di fare analisi ma quello che è sotto gli occhi di tutti è che le si aprono due strade: continuare la lotta o accettare la vicepresidenza.
Dato l’arcaico sistema elettorale americano (che sembra la parodia di una canzone degli ABBA) Hillary è, senza ombra di dubbio, avvantaggiata rispetto ad Obama nello scontro con McCain, avendo in tasca California, Florida, Ohio e Pennsylvania.
Inutile dire che nello scontro fra l’insopportabile giovane bacchettone e il vecchio pazzo neocon, ci toccherà sperare in Obama, ma la strada sarà più ardua del previsto.
Il punto è che se Hillary sarà al suo fianco come candidata alla vicepresidenza, per Obama sarà tutto più semplice, ma per lei, non più giovanissima, legare le sorti ad un ragazzetto inesperto di buone speranze sarebbe disastroso nel bene e nel male. Se lui farà bene, lei sarà in ombra. Se lui farà male crolleranno insieme.
L’alterativa sarebbe farsi da parte e aspettare il cadavere del suo nemico. Se Obama perdesse le elezioni nazionali tra 4 anni la Clinton trionferebbe senza problemi e avrebbe ancora speranze.
Il dilemma è questo: sperare di consegnare l’arsenale nucleare americano nelle mani di McCain, per poi riprenderselo tra quattro anni, oppure mettersi disciplinatamente in fila dietro l’insopportabile novellino (profeta alla Tremonti del protezionismo cristiano) e tornare a giocare il ruolo da comprimaria alla Casa bianca evitando al mondo, dopo 8 interminabili anni bushiani, 4 (o peggio 8) anni con alla guida degli Stati Uniti un infelice misto tra Sarkozy e il dottor Stranamore?

07 maggio 2008

Notazioni politiche di una passeggiata romana

-Ieri pomeriggio, in una piazza Farnese strabordante di macchine (ci doveva essere un ricevimento all'ambasciata di Francia) c'era D'Alema. A circa 15/20 metri da lui, appena fuori portata uditiva, quello che aveva tutta l'aria, e la mise, di essere di un suo collaboratore diceva nel cellulare «Ma te lo dico perché non vi conviene nemmeno a voi, non ha senso dirsi dalemiani. Ora essere dalemiani vuol dire essere vecchi».

- Sempre nel pomeriggio di ieri qualche decina di autoblù si fermava davanti la chiesa di Santa Caterina da Siena a Monte Magnanapoli, su via Nazionale, e le suddette macchinone sfornavano a raffica generali, colonelli essenzialmente della guardia di finanza ed alcuni poi della polizia ed altre armi a me ignote. Dopo un po' di saluti di rigore, mano destra (sarà un caso?) alla fronte, convenevoli con qualche prete e con i pochi non in qualche divisa (politici?) ma comunque vestiti di tutto punto, entravano in chiesa sorridenti. Pensavo si stesse organizzando qualche bel golpe clerico-militare, poi mi son ricordato che questi già stanno al governo (vero generale Speciale?).

Ah, per la cronaca la chiesa è la sede dell'ordinatariato militare, che quando si va a sparare in giro per il mondo pare sia essenziale un prete.

Comunque da questa città si ha parecchio da apprendere.