e poi c’è il fatto che riesci a chiacchierare con un amico meglio che al cinema, e poi vedi pure la partita, mi sembran cose da considerare la prossima volta che penso allo stadio e alla gente che va allo stadio -anche se in pochi in effetti chiacchieravano.
Sotto di me c’era pure un ragazzino, in realtà bambino, nove o dieci anni, ma con piglio già da ragazzino, saran stati l’orecchino, modi spicci, insulti all’arbitro pur misurati -comprato e non cornuto. Lui era andato allo stadio, oltre che per stare col padre corpulento e i suoi amici corpulenti, anche per giocare al cellulare con due suoi amichetti, stesso gioco su tre cellulari diversi in contemporanea. Non un gioco di calcio, il che era un peccato. Poi a un certo punto ha provato anche ad usare il cellulare come cellulare, per chiamare. Prima è andato più volte sulla voce “Casa mia”, poi visto che la linea non prendeva ha provato a chiamare “Incubo”, ma la linea davvero non prendeva -lo stadio all’epoca degli smartphone o quei titoli o proclami così sono falsi dunque, ammesso che qualcuno li abbia fatti, ma crederei di sì. Io intanto ero molto affascinato dalle voci “Casa mia” e ” Incubo”, maiuscole comprese, del suo cellulare -da quando ho una mia casa il numero di questa l’ho segnato sotto “Casa”, voce sotto cui avevo la casa dei miei genitori, che ora non ricordo come ho cambiato, e non avevo pensato, o forse l’avevo fatto e me ne ero vergognato, di chiamarle invece “Casa mia” e quella dei miei genitori ”Casa dei miei”, in un’orgia di possesso e aggettivi conseguenti. Comunque il ragazzino continuava a provare con “Casa mia” e “Incubo” -ecco, di Incubi non ne ho in rubrica, credo- finché ha ripassato il cellulare al padre, ché evidentemente il cellulare era suo, ed era sua pure “Casa mia”, e io ci son rimasto male, che era più bello fosse stata del bambino, anche se mi dispiaceva avesse anche l’Incubo.
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