29 settembre 2008
Le vie del signore sono finite: toponomastica e divinità
Allora, bene, innanzitutto, scrivo quanto segue perché impossibilitato da contingenze a vedere su Rai 4 (roba di digitale terrestre) "Il mio nome è Nessuno", personale film feticcio con Terence Hill ed Henry Fonda. Lo dico subito così sanno con chi prendersela (con le contingenze) qualora si avventurassero fra queste righe verbose e venissero loro a noia.
L'altro giorno ero in quel di Modena -anche se la localizzazione geografica è inessenziale-, e mi sono imbattuto in via Santissima Trinità. E così, preso da uno stupido gioco di associazioni mi sono chiesto perché non avessi mai letto né sentito di una "via Dio", od anche di una "via Gesù" o "via Madonna", per altro da romano e quindi circondato dal Vaticano quale sono -sì, dal 1870 sono loro a circondarci e non viceversa.
Inoltre pensavo ad i vari nomi delle molte chiese di questa città (e non solo), che tutte, tranne un'eccezione su cui tornerò dopo, quando invocano i Big Three, ovvero Dio, Gesù e Madonna (lo Spirito Santo è chiaro che qui non conta, non ho mai sentito bestemmiarlo, e la bestemmia è l'unico criterio di affezione e legame con una divinità) lo nominano sempre connotato, mai puro, liscio, diretto. Anzi, ad essere precisi, nei nomi delle chiese Dio non lo nominano proprio, Gesù molto poco e sempre accompagnato da un aggettivo, da una qualificazione (bambino, redentore, signore, lo stesso "Cristo" è in origine un aggettivo) o al massimo giustapposto alla Madonna, che a sua volta compare solo in quanto Madonna di qualcosa ("dell'addolorata", "dell'annunziata", o roba simile). Inoltre l'eccezione di cui sopra è la Chiesa del Gesù, che innanzitutto ad un'indagine più approfondita risulta chiamarsi Chiesa del Santissimo Nome di Gesù all'Argentina, e poi comunque nel suo ricorrere a quell'articolo determinativo incluso nella preposizione determina appunto, connota, non si riferisce direttamente alla divinità [nessuno direbbe mai la Basilica del (santo) Giovanni]. Insomma non solo non c'è "Via Gesù"*, o "via Dio"**, ma non c'è nemmeno la"Chiesa di Dio" o "di Gesù".
La cosa mi colpiva particolarmente proprio perché la toponomastica è stata sempre un gioco di potere (non scrivo simbolico, ché fa troppo fricchettone, ma ci capiamo) mica da niente, e proprio Roma ne è un chiaro esempio, con Borgo Pio ed il Vaticano di cui sopra incastonato negli anni umbertini ed a seguire fra "Piazza Risorgimento", "Piazza Cavour" e "Via Cola di Rienzo". E di solito si calano i pezzi grossi in queste battaglie di territorio, ce lo insegna proprio l'Emilia Romagna -mi sbagliavo, Modena c'entra- con le sue strade intitolate a Lenin, a Che Guevara e seppur non più a Stalin comunque alla battaglia di Stalingrado (perlomeno a Bologna, dove la giustificazione è che all'epoca la città si chiamava così). Insomma i nemici, laici, massoni (vedi gli ossari di garibaldini al Gianicolo, ovvero sopra San Pietro, con annessa statua del barbuto nella piazza intitolata alla moglie Anita), comunisti ed affini quando hanno potuto si sono giocati i loro Big, espliciti e netti. La chiesa no.
Questa impossibilità di denotare direttamente il divino dapprima (mi) ricorda l''iconoclastìa monoteista, che però nondimeno il cristianesimo ha brillantemente superato, approdando da parecchi secoli a questa adolescenza esuberante, poco dedita all'espiazione e con molti poster in cameretta, in cui accetta infatti tranquillamente il suo bisogno di politeismo, non solo quello della Trinità ma soprattutto quello dei santi, santesse, Papi e Padri Pii (ripensandoci, non ho mai visto nemmeno un santino "denotativo" di Dio, di Gesù o della Madonna, anche essi fanno parte difatti della geografia spirituale con il loro tentativo promozionale territoriale). E questa adoloscenza cristiana si è proprio appoggiata a queste mediazioni del Divino, ci ha costruito la sua forza e la legittimazione della Chiesa, il suo ruolo infatti quale è infatti se non proprio quello di connotare la divinità, spiegarla, diffonderla, immaginarla, definirla attraverso determinazioni qualitative («Dio è x») e pure arrogantemente darle voce («a Gesù quella minigonna non piace, lo offende, toglitela», «La Madonna non vuole che tu ti metta le dita nel naso»). La denotazione, l'invocazione diretta e un po' misteriosa del divino (che è 'sto Dio, che non è padre, o redentore, o salvatore?) li farebbe fuori a tutti, santi e preti, mistici e venditori di calendari con immagini sacre, e forse di qui il ricorrere solo ad i Big Three in forma mediata, che mica si possono fregare da soli. Forse la proibizione delle bestemmia funziona allo stesso modo, forse no.
Insomma, altro che iconoclastìa, il problema non è il non volere/dovere rappresentare o nominare il divino, anzi, si vuole farlo e si deve farlo per motivi propagandistici, piuttosto non si può nominarlo in quanto tale, pena la propria inutilità; per quest'esigenza di nominazione ed evocazione che tutte le religioni si portano appresso c'è infatti bisogno di iconofilia, di immagini, di caratterizzazioni, dell'aggiunta aggettivale di qualcosa di umano al divino. C'hanno messo un po' i cristiani ma dopo i primi secoli ci sono arrivati. Alla fin fine sembra qui ritornare quell'idea tutta pagana dell'intollerabilità della presenza del divino in quanto tale, che si può manifestare solo in un certe sue forme pena il distruggere l'essere umano che vi entra in contatto diretto, travolto dalla sua luce -qui distruggerebbe solo le istituzioni create in suo nome. Certo, nel mondo greco-romano era un modo essenziale per pensare l'impensabile, una modalità misterica, filosofica, quasi epistemologica, di concepire non solo i limiti degli umani e del linguaggio, ma anche del divino, che non è mai solo se stesso (il loro enorme vantaggio era il politeismo su cui si innestava tutto ciò), ma è sempre sovradeterminato da un epiteto, dal fato (che vuol dire proprio "ciò che è detto"): una volta è Apollo Phebo (lucente), altre Apollo Loixas (l'oscuro!), se non Apollo Musageta, ricordandosi sempre che sotto quell'uomo o quella donna, quel cigno, si potrebbe sempre nascondere non solo Apollo, ma Mercurio, o qualche altre impiegato dell'Olimpo. Insomma ad i loro tempi era una cosa divertente, complessa, che richiedeva interpretazione, mistero, abbandono e pensiero, ora qui da noi sembra essere solo un modo stantìo di auto-conservazione, di contenere dentro delle belle viuzze e parole roba che potrebbe scoppiare come troppo incomprensibile, ché si spacciano per religione senza aggettivi, monoteista, ma non ce la fanno proprio, senza però nemmeno avere la voglia di ammetterlo.
Insomma, mi son convinto da solo, per smontare o almeno smuovere il cristianesimo iniziamo ad intitolare delle vie a Dio, e vediamo che succede, come la gente ci si dà appuntamento, che nome prendono i bar del posto, con che piglio si indirizzano le cartoline o si forniscono le indicazioni stradali. Qualcosa dovrebbe succedere.
[le prime spiegazioni che la mia testolina aveva offerto al fenomeno toponomastica che ha ingenerato tutta sta tiritera, è che forse Dio è impenetrabile, non ci si può passare attraverso, insomma Dio non si percorre come una strada, semmai ci si imbatte in un suo aspetto, ovvero è quanto detto poi in tutte queste righe]
*di "via Gesù" in Italia se ne contano nove, tutti in piccoli paesi, e certo, negano quanto qui detto, ma che vogliono, questo è solo un blog
**se cercano in googlemaps non c'è alcuna "via Dio", ma trovano cinque "via di Dio". Anche qui la preposizione sembra svolgere quel ruolo mediatore estraneo a tutti gli altri nomi propri, ché "via di Giulio Cesare" non si è mai sentita. Evidentemente scrivere, incidere, pronunciare "via Dio" constituirebbe forse qualcosa di troppo simile al pronunciare invano il nome del divino, alla bestemmia.
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14 settembre 2008
Nucular, ignoranza e politica
Sarah Palin, la candidata dal poco candore alla vicepresidenza americana, durante interviste e convention invece di dire "nuclear" si è esibita in almeno in un paio di "nucular". Esattamente come il tecnico nucleare del settore 7G Homer Simpson che in una vecchia puntata (quella del sottomarino per intenderci) correggeva il suo capitano specificando «Nu-cu-la-re, si dice nu-cu-lare».
Ora le reazioni a questo suo ripetuto errore (categoria non dissimile da quella di gaffe o lapsus, ma teniamoci sul neutro che non è affatto meno cogente, anzi offre meno scusanti) sono stati quelle che ci si può aspettare, bloggers e commentatori politici hanno iniziato a dar giù sulla sua ignoranza, sul suo essere il perfetto stereotipo della redneck americana, burinotta creazionista e armaiola che non sa parlare la lingua non dico del bardo ma nemmeno dei dossier della Cia o dei briefing con i generali, quelli in cui si tiene stretta la valigetta con i codici "nuculari". Più in generale da varie parti ed anche in terra italica si levano critiche all'incompetenza della classe politica, secondo molti scelta in quanto specchio putrido di narcisi sfioriti quali saremmo (o meglio sarebbero in maggior parte quelli di destra, ma non solo) che vogliono solo ritrovare il proprio ritratto malmostoso, bigotto, razzista ed ignorante nelle facce paludate di chi votiamo (votano), questo perchè «i leader politici eletti non sono più persone “migliori di noi” (e votate per questo), ma uguali a noi (facendosene un vanto), e anche peggiori di noi (per il nostro compiacimento)»[Luca Sofri dal link di cui sopra].
Insomma, stavo per commentare lo sfondone (sì, anche il fondamento politico è sfondato) con sarcasmo o cinismo, le due uniche facce da blogger che posseggo, e quasi stavo per seguire l'ondata generale di disapprovazione, quando mi sono abbandonato un po' alla rete, ed ho scoperto che esiste la pagina wikipedia di "Nucular", dove con corredo di accurati link si riporta che lo stesso errore di pronuncia era stato appannaggio di altri notevoli politici americani, tutti presidenti in realtà, quali Dabliu (troppo facile), Eisenhower, Carter e Clinton. Insomma Sarah sta in ottima compagnia, direi preoccupante, certo rispetto agli altri la di lei ignoranza e stupidità emerge da ben altro che dalla poca dimestichezza linguistica, e si staglia a dei livelli forse mai raggiunti da qualcuno che sta ad un battito di cuore dalla presidenza (nel caso di McCain a mezzo battito), però rimane qualche dubbio e qualche altro però su questa questione dei politici.
I pochi politici che mi piacciono sono quelli che mi fanno pensare a qualcosa cui non avevo mai pensato prima, che mi fanno soffermare a vedere qualcosa di nuovo ed a riconoscerlo come determinante. Personalmente vorrei quindi votare nella mia vita qualcuno che sia sveglio come me, o anche un po' di più, riconoscendolo diverso da me data la sua vocazione o "professione", sentendomi però a mia volta sveglio, senza derive egotiche ma nemmeno senza prostrazioni ché insomma capo che tutto sa, che tutto può, che è migliore ("il migliore" vi ricorda qualcuno?) non è che mi affascini tantissimo.
Ora le reazioni a questo suo ripetuto errore (categoria non dissimile da quella di gaffe o lapsus, ma teniamoci sul neutro che non è affatto meno cogente, anzi offre meno scusanti) sono stati quelle che ci si può aspettare, bloggers e commentatori politici hanno iniziato a dar giù sulla sua ignoranza, sul suo essere il perfetto stereotipo della redneck americana, burinotta creazionista e armaiola che non sa parlare la lingua non dico del bardo ma nemmeno dei dossier della Cia o dei briefing con i generali, quelli in cui si tiene stretta la valigetta con i codici "nuculari". Più in generale da varie parti ed anche in terra italica si levano critiche all'incompetenza della classe politica, secondo molti scelta in quanto specchio putrido di narcisi sfioriti quali saremmo (o meglio sarebbero in maggior parte quelli di destra, ma non solo) che vogliono solo ritrovare il proprio ritratto malmostoso, bigotto, razzista ed ignorante nelle facce paludate di chi votiamo (votano), questo perchè «i leader politici eletti non sono più persone “migliori di noi” (e votate per questo), ma uguali a noi (facendosene un vanto), e anche peggiori di noi (per il nostro compiacimento)»[Luca Sofri dal link di cui sopra].
Insomma, stavo per commentare lo sfondone (sì, anche il fondamento politico è sfondato) con sarcasmo o cinismo, le due uniche facce da blogger che posseggo, e quasi stavo per seguire l'ondata generale di disapprovazione, quando mi sono abbandonato un po' alla rete, ed ho scoperto che esiste la pagina wikipedia di "Nucular", dove con corredo di accurati link si riporta che lo stesso errore di pronuncia era stato appannaggio di altri notevoli politici americani, tutti presidenti in realtà, quali Dabliu (troppo facile), Eisenhower, Carter e Clinton. Insomma Sarah sta in ottima compagnia, direi preoccupante, certo rispetto agli altri la di lei ignoranza e stupidità emerge da ben altro che dalla poca dimestichezza linguistica, e si staglia a dei livelli forse mai raggiunti da qualcuno che sta ad un battito di cuore dalla presidenza (nel caso di McCain a mezzo battito), però rimane qualche dubbio e qualche altro però su questa questione dei politici.
I pochi politici che mi piacciono sono quelli che mi fanno pensare a qualcosa cui non avevo mai pensato prima, che mi fanno soffermare a vedere qualcosa di nuovo ed a riconoscerlo come determinante. Personalmente vorrei quindi votare nella mia vita qualcuno che sia sveglio come me, o anche un po' di più, riconoscendolo diverso da me data la sua vocazione o "professione", sentendomi però a mia volta sveglio, senza derive egotiche ma nemmeno senza prostrazioni ché insomma capo che tutto sa, che tutto può, che è migliore ("il migliore" vi ricorda qualcuno?) non è che mi affascini tantissimo.
04 settembre 2008
Mariastella, stella del foro di Reggio Calabria
Mariastella Gelmini, paladina della meritocrazia, ha fatto la furba. Nel 2001 è stata abilitata all'esercizio della professione di avvocato sostenendo l’esame di stato a Reggio Calabria, dove allora promuovevano praticamente tutti i candidati.
Il ministro dell’Istruzione si è difesa dicendo che allora aveva bisogno di lavorare subito! Ebbene sì, quello che in qualsiasi paese civile avrebbe richiesto, quantomeno, un pubblico pentimento qui da noi è fonte di ilarità.
Del resto questo è il messaggio berlusconiano: fotti il sistema! E come la mettiamo con i tormentoni sulla meritocrazia?
Premettendo che il cratos dovrebbe essere prerogativa del demos, confesso una certa sensibilità sul tema del merito. Soprattutto se si considera che il governo dell’efficienza che gode di stratosferici tassi di popolarità ha recentemente tagliato la gran parte dei fondi riservati ai nuovi ingressi in università che con buona probabilità finiranno nel buco nero della bad company del grande affair Alitalia.
Dopo tutto il sottosegretario con delega alla ricerca è Pizza, che ha avuto un grande merito: quello di accaparrarsi i diritti dello scudocrociato… Neanche Sir Paul può considerarsi tanto fortunato, pur possedendo i diritti di Yesterday.
Torniamo alla Gelmini. Di grande effetto sono state le sue decisioni di riportare i numeri nella valutazione degli studenti elementari e medi, la sua severità contro gli insegnanti meridionali e il suo mega progetto di riforma denominato “operazione grembiule”. Per non parlare delle prese di posizione del prode ministro Brunetta che proprio ieri proponeva la class action contro la pubblica amministrazione.
Ronald Regan vinse le elezioni presidenziali degli Stati Uniti (oltre che fomentando il mai sopito odio razziale contro i neri) inventando il mito della Welfare queen, che se andava in giro per le strade di Chicago in limousine, a carico dell’assistenza sociale.
Noi naturalmente non impariamo nulla e restiamo affascinati da un governo di irresponsabili che predicano lo stato minimo e mandano la spesa pubblica fuori controllo e che prendono voti con stupidi slogan di propaganda sugli impiegati pubblici fannulloni. Mi stanno sempre più simpatici quegli statali che “capano i fagiolini” durante l’orario di lavoro e che verso le 11 si mettono il borsellino sotto braccio, come fosse una copia del Corriere della Sera, e vanno a fare la spesa.
Dopo la cura Brunetta, parafrasando il grande Ben Stiller, gli statali saranno più che qualificati, qualifichissimi!
Questo è il governo dell’evasione fiscale, dell’impunità penale del premier e dei suoi scagnozzi, degli esami fatti per fregare il sistema, delle gare a chi raccomanda la valletta più bella.
Si permettono di dare lezioni di merito. Questo paese è davvero alla frutta.
Il ministro dell’Istruzione si è difesa dicendo che allora aveva bisogno di lavorare subito! Ebbene sì, quello che in qualsiasi paese civile avrebbe richiesto, quantomeno, un pubblico pentimento qui da noi è fonte di ilarità.
Del resto questo è il messaggio berlusconiano: fotti il sistema! E come la mettiamo con i tormentoni sulla meritocrazia?
Premettendo che il cratos dovrebbe essere prerogativa del demos, confesso una certa sensibilità sul tema del merito. Soprattutto se si considera che il governo dell’efficienza che gode di stratosferici tassi di popolarità ha recentemente tagliato la gran parte dei fondi riservati ai nuovi ingressi in università che con buona probabilità finiranno nel buco nero della bad company del grande affair Alitalia.
Dopo tutto il sottosegretario con delega alla ricerca è Pizza, che ha avuto un grande merito: quello di accaparrarsi i diritti dello scudocrociato… Neanche Sir Paul può considerarsi tanto fortunato, pur possedendo i diritti di Yesterday.
Torniamo alla Gelmini. Di grande effetto sono state le sue decisioni di riportare i numeri nella valutazione degli studenti elementari e medi, la sua severità contro gli insegnanti meridionali e il suo mega progetto di riforma denominato “operazione grembiule”. Per non parlare delle prese di posizione del prode ministro Brunetta che proprio ieri proponeva la class action contro la pubblica amministrazione.
Ronald Regan vinse le elezioni presidenziali degli Stati Uniti (oltre che fomentando il mai sopito odio razziale contro i neri) inventando il mito della Welfare queen, che se andava in giro per le strade di Chicago in limousine, a carico dell’assistenza sociale.
Noi naturalmente non impariamo nulla e restiamo affascinati da un governo di irresponsabili che predicano lo stato minimo e mandano la spesa pubblica fuori controllo e che prendono voti con stupidi slogan di propaganda sugli impiegati pubblici fannulloni. Mi stanno sempre più simpatici quegli statali che “capano i fagiolini” durante l’orario di lavoro e che verso le 11 si mettono il borsellino sotto braccio, come fosse una copia del Corriere della Sera, e vanno a fare la spesa.
Dopo la cura Brunetta, parafrasando il grande Ben Stiller, gli statali saranno più che qualificati, qualifichissimi!
Questo è il governo dell’evasione fiscale, dell’impunità penale del premier e dei suoi scagnozzi, degli esami fatti per fregare il sistema, delle gare a chi raccomanda la valletta più bella.
Si permettono di dare lezioni di merito. Questo paese è davvero alla frutta.
36 minuti con Sarah Palin
personali impressioni del discorso della candidata vice presidente di Nonno Simpson McCain, non metto qui il video che sarebbe troppo, comunque, per chi non volesse andarselo a vedere, do io rassicurazioni, stavolta l'orso non c'era.
- come qualcuno ha notato l'ultracristiana Sarah ha cinque figli tutti con nomi non biblici, ma presi dalla mitologia nordica, o dai luoghi di concepimento (uno si chiama Track, come pista da corsa, non si sa se l'amplesso generatore abbia avuto risultati record). Quello che non si era detto è che una figlia si chiama Willow, come una delle protagoniste di Buffy, lesbica e strega.
- ha provato a raccattare voti dove poteva, compresi quelle delle families of special-needs kids, esplicitamente dicendo che, dato il figlio down, avranno il suo supporto.
- la retorica sulla small hometown di provenienza è stata soffocante, maritino conosciuto alla highscholl compreso, genitori sani ed onesti lavoratori, sono una di voi e roba simile.
- ha preso una frase idiota e vuota sulle small towns, attribuendola ad un "writer" -non penso si riferisse a un graffitaro- e l'ha usata surrettiziamente per paragonarsi ad Harry Truman (presidente democratico per altro). «A writer observed: "We grow good people in our small towns, with honesty, sincerity, and dignity." I know just the kind of people that writer had in mind when he praised Harry Truman.»
- si è lei stessa definita una hockey mom (la versione popolare delle soccer mom clintoniane, che evidentemente l'hockey è uno sport meno fighetto e più da bambini duri). Inquadrano un cartello con scritto "hockey moms 4 Palin". Poi, forse pronunciando l'unica cosa non scritta, ha chiarito «you know what's the difference from hockey moms and pittbulls? lipstick!».
- Track, il figlio 19enne con la faccia non proprio sveglia, non è ancora partito per l'Iraq. Parte fra una settimana, l'11 settembre. C'ha pure un nipote, o qualcosa del genere, militare nel Golfo, anche se non dice Iraq. Magari sta a Dubai a bersi dei mojito.
- si è dipinta come una governatrice, del «great state of Alaska», anti lobby, anti compagnie petrolifere, e dalla parte del popolo.
- è così del popolo e anti casta (ma l'hanno tradotto lì il libro di Stella e l'altro tizio? o forse era una traduzione di un libro americano?), che ha messo su Ebay il "luxury jet" dello stato dell'Alaska
- nel pubblico, inquadrato spessismo, compaiono esclusivamente bianchi, di ogni età ma molti in su con gli anni, parecchie donne, un po' di veterani e soprattutto tizi sessantenni con il cappello da cowboy che la regia non si fa scappare.
- ogni tanto inquadrano, oltra alla di lei allegra famigliola con la figlia visibilmente incinta che non si stacca mai dalla mano del futuro marito, anche la moglie di McCain, Cindy. Che uno la vede da lontano e sembra pure na bella bionda, poi però vedi che è vecchia, rifatta, cadente ma tenuta su. Insomma c'ha un qualcosa che fa paura.
- forse, come nelle migliori trasmissioni televisive, da qualche parte compare una scritta "APPLAUSI" e "BUUUH" e roba simile, perché il tutto sembra mooolto cailbrato e freddo, con tutte le pause nel discorco che vengono puntalmente riempite dalle grida. Le migliaia di persone lì presenti sembrano comparse.
- parla un po' di politica estera, ovvero parla di petrolio. Russia, Iran e Venezuela vengono presentate come minacce alla sicurezza americana in quanto gli Usa dipendono dal loro greggio. Che dire, forse qui è quasi onesta.
- non nomina, tranne una volta alla fine, né Obama né Biden, certo non li chiama i principali esponenti della coalizione avversaria, ma la strada è un po' quella di Walter.
- sfotte Obama per le colonne greche di polistirolo della sua convention.
- ritorna sulla politica estera e nomina per la prima ed ultima volta Al Qaeda, mai Bin Laden, e parte di tasto sicurezza contro gli opponents. E qui ci mette uno dei tanti elogi del capo.
- dopo la sicurezza arrivano le tasse, e dice che sua sorella Heather ha appena aperto una gas station, e se arrivano i democratici fallisce sicuro.
- improvvisamente, mentre parla di un compagno di cella di McCain ad Hanoi e dei loro virili e fieri ricordi insieme, di botto, senza preavviso, al settimo secondo del trentacinquesimo minuto, inquadrano un nero. Per tre secondi! Deve essere famoso, forse perché è uno dei quattordici repubblicani neri o qualcosa del genere.
- Solo alla fine nomina un paio di volte Dio, una delle quali nel tradizionale God bless America di rito. Non ha parlato affatto di "temi etici", ha solo accusato Obama di prendere in giro la religione e le armi (guns) del popolo americano quando fa i suoi discorsi per le due coste liberal da conquistare. Chiude con un elogio del capo, nominato una ventina di volte, con deciso crescendo nel finale.
- come qualcuno ha notato l'ultracristiana Sarah ha cinque figli tutti con nomi non biblici, ma presi dalla mitologia nordica, o dai luoghi di concepimento (uno si chiama Track, come pista da corsa, non si sa se l'amplesso generatore abbia avuto risultati record). Quello che non si era detto è che una figlia si chiama Willow, come una delle protagoniste di Buffy, lesbica e strega.
- ha provato a raccattare voti dove poteva, compresi quelle delle families of special-needs kids, esplicitamente dicendo che, dato il figlio down, avranno il suo supporto.
- la retorica sulla small hometown di provenienza è stata soffocante, maritino conosciuto alla highscholl compreso, genitori sani ed onesti lavoratori, sono una di voi e roba simile.
- ha preso una frase idiota e vuota sulle small towns, attribuendola ad un "writer" -non penso si riferisse a un graffitaro- e l'ha usata surrettiziamente per paragonarsi ad Harry Truman (presidente democratico per altro). «A writer observed: "We grow good people in our small towns, with honesty, sincerity, and dignity." I know just the kind of people that writer had in mind when he praised Harry Truman.»
- si è lei stessa definita una hockey mom (la versione popolare delle soccer mom clintoniane, che evidentemente l'hockey è uno sport meno fighetto e più da bambini duri). Inquadrano un cartello con scritto "hockey moms 4 Palin". Poi, forse pronunciando l'unica cosa non scritta, ha chiarito «you know what's the difference from hockey moms and pittbulls? lipstick!».
- Track, il figlio 19enne con la faccia non proprio sveglia, non è ancora partito per l'Iraq. Parte fra una settimana, l'11 settembre. C'ha pure un nipote, o qualcosa del genere, militare nel Golfo, anche se non dice Iraq. Magari sta a Dubai a bersi dei mojito.
- si è dipinta come una governatrice, del «great state of Alaska», anti lobby, anti compagnie petrolifere, e dalla parte del popolo.
- è così del popolo e anti casta (ma l'hanno tradotto lì il libro di Stella e l'altro tizio? o forse era una traduzione di un libro americano?), che ha messo su Ebay il "luxury jet" dello stato dell'Alaska
- nel pubblico, inquadrato spessismo, compaiono esclusivamente bianchi, di ogni età ma molti in su con gli anni, parecchie donne, un po' di veterani e soprattutto tizi sessantenni con il cappello da cowboy che la regia non si fa scappare.
- ogni tanto inquadrano, oltra alla di lei allegra famigliola con la figlia visibilmente incinta che non si stacca mai dalla mano del futuro marito, anche la moglie di McCain, Cindy. Che uno la vede da lontano e sembra pure na bella bionda, poi però vedi che è vecchia, rifatta, cadente ma tenuta su. Insomma c'ha un qualcosa che fa paura.
- forse, come nelle migliori trasmissioni televisive, da qualche parte compare una scritta "APPLAUSI" e "BUUUH" e roba simile, perché il tutto sembra mooolto cailbrato e freddo, con tutte le pause nel discorco che vengono puntalmente riempite dalle grida. Le migliaia di persone lì presenti sembrano comparse.
- parla un po' di politica estera, ovvero parla di petrolio. Russia, Iran e Venezuela vengono presentate come minacce alla sicurezza americana in quanto gli Usa dipendono dal loro greggio. Che dire, forse qui è quasi onesta.
- non nomina, tranne una volta alla fine, né Obama né Biden, certo non li chiama i principali esponenti della coalizione avversaria, ma la strada è un po' quella di Walter.
- sfotte Obama per le colonne greche di polistirolo della sua convention.
- ritorna sulla politica estera e nomina per la prima ed ultima volta Al Qaeda, mai Bin Laden, e parte di tasto sicurezza contro gli opponents. E qui ci mette uno dei tanti elogi del capo.
- dopo la sicurezza arrivano le tasse, e dice che sua sorella Heather ha appena aperto una gas station, e se arrivano i democratici fallisce sicuro.
- improvvisamente, mentre parla di un compagno di cella di McCain ad Hanoi e dei loro virili e fieri ricordi insieme, di botto, senza preavviso, al settimo secondo del trentacinquesimo minuto, inquadrano un nero. Per tre secondi! Deve essere famoso, forse perché è uno dei quattordici repubblicani neri o qualcosa del genere.
- Solo alla fine nomina un paio di volte Dio, una delle quali nel tradizionale God bless America di rito. Non ha parlato affatto di "temi etici", ha solo accusato Obama di prendere in giro la religione e le armi (guns) del popolo americano quando fa i suoi discorsi per le due coste liberal da conquistare. Chiude con un elogio del capo, nominato una ventina di volte, con deciso crescendo nel finale.
02 settembre 2008
Cosa sappiamo veramente? i limiti del senso comune a scuola
Nessun professore sa chi è veramente un alunno di otto o quindici anni: non lo sanno nemmeno il padre o la madre, e nessun altro essere umano. Settantacinque anni fa, Giorgio Manganelli, il quale è stato lo scrittore italiano più intelligente dell'ultimo mezzo secolo, veniva ritenuto da tutti (presidi, maestri, professori, compagni) un idiotaPietro Citati, da Repubblica di oggi
Per spirito di partigianeria, di tifoso (devastato dall'intelligenza e dalla bravura crudele del suo amato scrittore, più che devastatore di treni e pubblici servizi, ma d'altronde non sono un affiliato della camorra causa miopia e torace piccolo), in ruolo di fan ebete e stupido quanto compete ad un ammiratore preso per incantamento, riporto questo lapidario -gratuito non credo- giudizio di Citati su Manganelli.
Che poi la questione che qui tira fuori -dimenticavo, grazie a Citati per quel "il quale è stato...", che nobilita l'affermazione -, quella della problematica relazione fra voti scolastici e realtà personale o "valore" dell'alunno, ha una lunga e cospicua letteratura alle spalle, reperibile nei testi di pedagogia e forse più affidabilmente nella chiacchera da bar. Le eccezioni citate a mo' di riscatto dei propri anni somari son note, con Einstein che di solito primeggia un po' a sproposito -scusa Albert, ma da quello che so non è che tu andassi proprio così male a scuola. Questo problema del conoscere e valutare qualcun altro, viene però troppo spesso confinato alla questione dei "voti", all'orizzonte scolastico, alle cattedre rialzate quei dieci centrimetri sopra i banchi, al gesso, i banchi e i bidelli, ai compiti in classe, a casa, a quel processo che fra un'interrogazione, un colloquio ed un esame dovrebbe educarci (brrrr). Del voto certamente spaventa la sua espressione numerica, quelle ieratiche ed assolute entità numeriche che le itale genti, troppo fortunatamente cialtrone per fare i conti con i conti, hanno sempre scansato. A filosofeggiare si potrebbe dire che spaventa la quantificazione pedagogica o scientifica dell'essere umano, da sottoporre a test come un animale da cosmetici, non per provarne la compatibilità con la cultura standard già immessa nel mercato, ma piuttosto per provarne la stessa esistenza (come essere umano, intelligente, sociale). Credo che fosse proprio per addolcire questa numerofobia che le vecchie pagelle di elementari e medie fossero accompagnate da un "giudizio", termine che a prescindere dalla sua universalità dovrebbe intimorire di più l'esaminato rispetto al pio "voto", ma che invece, fatto di parole, sembra sempre più appellabile e riformulabile, interpretabile, e quindi in fondo accettabile.
Però forse il senso comune, per una nuova e improvvisa voglia di coerenza e rigore, dovrebbe alzare lo sguardo dai numeri, quelli dei voti della Gazzetta dello Sport al bar così come quelli della sociologia o statistica, e porsi lo stesso dilema filosofico, elevando a livello generale il dubbio sulla possibilità di giudicare davvero un'altra persona. Che dire delle valutazioni del capoufficio? Che dire di Brunetta che con la sua positivistica lotta al presunto nichilismo del lavoratore pubblico si sta ritagliando questo ruolo da censore, da pubblico esaminatore? Che dire dei commenti sprezzanti sul politico idiota, sulla suocera infigarda, sull'arbitro cornuto, sul vicino che innaffia e allaga e starnazza e sposta furioso il mobilio?
Insomma che dire dei giudizi morali o personali sugli altri? Non abbiamo anche lì qualche di idea di alcuni "compiti" che si debbano adempiere, o di esami da superare, seppure con nomi diversi ed in contesti molto più sfumati? Non ci sono forse anche lì dei voti? E la loro validità su che si basa? La banalità del tutto è evidente. Certo però che se il senso comune intraprendesse nettamente questa lineare e quasi ovvia strada, ci troveremmo per la prima volta dinanzi ad un senso comune radicalmente e drammaticamente scettico, mentre di fatto il senso comune ha da sempre usato il dubbio solo come forma di cinismo cialtrone per occasioni andate a male. Forse non sarebbe nemmeno più senso comune, ma diventerebbe qualcosa simile ad un intellettuale che eccessivamente afferma che «nessun altro essere umano» sa chi è un quindicenne, metterebbe in crisi se stesso e molte persone, eleverebbe l'inconoscibilità a regola e distrugerebbe la comunità e la comunanza. Ma tanto il senso comune è uno buono, tranquillo , ed in fondo gli va di rimaner se stesso, di certo non gli va di trarre conseguenze generali così pericolose per sé, e quindi si limita a parlare di volta in volta, un po' di capiuffici o amanti che non li sanno capire, un po' di pagelle al fantacalcio che non tornano, e soprattutto di scuola, di professori e voti che non comprendono l'alunno, continuando a citare l'esempio di Einstein, o se volete, da oggi, di Giorgio Manganelli.
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