Nessun professore sa chi è veramente un alunno di otto o quindici anni: non lo sanno nemmeno il padre o la madre, e nessun altro essere umano. Settantacinque anni fa, Giorgio Manganelli, il quale è stato lo scrittore italiano più intelligente dell'ultimo mezzo secolo, veniva ritenuto da tutti (presidi, maestri, professori, compagni) un idiotaPietro Citati, da Repubblica di oggi
Per spirito di partigianeria, di tifoso (devastato dall'intelligenza e dalla bravura crudele del suo amato scrittore, più che devastatore di treni e pubblici servizi, ma d'altronde non sono un affiliato della camorra causa miopia e torace piccolo), in ruolo di fan ebete e stupido quanto compete ad un ammiratore preso per incantamento, riporto questo lapidario -gratuito non credo- giudizio di Citati su Manganelli.
Che poi la questione che qui tira fuori -dimenticavo, grazie a Citati per quel "il quale è stato...", che nobilita l'affermazione -, quella della problematica relazione fra voti scolastici e realtà personale o "valore" dell'alunno, ha una lunga e cospicua letteratura alle spalle, reperibile nei testi di pedagogia e forse più affidabilmente nella chiacchera da bar. Le eccezioni citate a mo' di riscatto dei propri anni somari son note, con Einstein che di solito primeggia un po' a sproposito -scusa Albert, ma da quello che so non è che tu andassi proprio così male a scuola. Questo problema del conoscere e valutare qualcun altro, viene però troppo spesso confinato alla questione dei "voti", all'orizzonte scolastico, alle cattedre rialzate quei dieci centrimetri sopra i banchi, al gesso, i banchi e i bidelli, ai compiti in classe, a casa, a quel processo che fra un'interrogazione, un colloquio ed un esame dovrebbe educarci (brrrr). Del voto certamente spaventa la sua espressione numerica, quelle ieratiche ed assolute entità numeriche che le itale genti, troppo fortunatamente cialtrone per fare i conti con i conti, hanno sempre scansato. A filosofeggiare si potrebbe dire che spaventa la quantificazione pedagogica o scientifica dell'essere umano, da sottoporre a test come un animale da cosmetici, non per provarne la compatibilità con la cultura standard già immessa nel mercato, ma piuttosto per provarne la stessa esistenza (come essere umano, intelligente, sociale). Credo che fosse proprio per addolcire questa numerofobia che le vecchie pagelle di elementari e medie fossero accompagnate da un "giudizio", termine che a prescindere dalla sua universalità dovrebbe intimorire di più l'esaminato rispetto al pio "voto", ma che invece, fatto di parole, sembra sempre più appellabile e riformulabile, interpretabile, e quindi in fondo accettabile.
Però forse il senso comune, per una nuova e improvvisa voglia di coerenza e rigore, dovrebbe alzare lo sguardo dai numeri, quelli dei voti della Gazzetta dello Sport al bar così come quelli della sociologia o statistica, e porsi lo stesso dilema filosofico, elevando a livello generale il dubbio sulla possibilità di giudicare davvero un'altra persona. Che dire delle valutazioni del capoufficio? Che dire di Brunetta che con la sua positivistica lotta al presunto nichilismo del lavoratore pubblico si sta ritagliando questo ruolo da censore, da pubblico esaminatore? Che dire dei commenti sprezzanti sul politico idiota, sulla suocera infigarda, sull'arbitro cornuto, sul vicino che innaffia e allaga e starnazza e sposta furioso il mobilio?
Insomma che dire dei giudizi morali o personali sugli altri? Non abbiamo anche lì qualche di idea di alcuni "compiti" che si debbano adempiere, o di esami da superare, seppure con nomi diversi ed in contesti molto più sfumati? Non ci sono forse anche lì dei voti? E la loro validità su che si basa? La banalità del tutto è evidente. Certo però che se il senso comune intraprendesse nettamente questa lineare e quasi ovvia strada, ci troveremmo per la prima volta dinanzi ad un senso comune radicalmente e drammaticamente scettico, mentre di fatto il senso comune ha da sempre usato il dubbio solo come forma di cinismo cialtrone per occasioni andate a male. Forse non sarebbe nemmeno più senso comune, ma diventerebbe qualcosa simile ad un intellettuale che eccessivamente afferma che «nessun altro essere umano» sa chi è un quindicenne, metterebbe in crisi se stesso e molte persone, eleverebbe l'inconoscibilità a regola e distrugerebbe la comunità e la comunanza. Ma tanto il senso comune è uno buono, tranquillo , ed in fondo gli va di rimaner se stesso, di certo non gli va di trarre conseguenze generali così pericolose per sé, e quindi si limita a parlare di volta in volta, un po' di capiuffici o amanti che non li sanno capire, un po' di pagelle al fantacalcio che non tornano, e soprattutto di scuola, di professori e voti che non comprendono l'alunno, continuando a citare l'esempio di Einstein, o se volete, da oggi, di Giorgio Manganelli.
Nessun commento:
Posta un commento