prendete le recenti intercettazioni, quelle lì, sulla fascia destra, dei passaggi incestuosi fra gli pseudo concorrenti Rai-Mediaset, che ci hanno svelato la “realtà dei fatti” (ce ne sono altre?); ebbene la reazione sinistra, di molti di noi, urbani e civilizzati esseri umani smagati alla vita, cinici quel che basta verso le manifestazioni del potere, è stata un sorrisetto a mezza bocca, pochi denti esposti, sopracciglia leggermente inarcate, testa inclinata da un lato, che lo sguardo di sguincio e non diretto fa tanto atteggiamento (post)moderno verso il mondo, il tutto corredato da leggera, a volte ripetuta, annuizione. Insomma, si derubricava nel già visto, già saputo, che noi siam gente del mondo. Scrive a proposito Alessandro Robecchi (giornalista ed autore satirico che spazia da Ballarò a Crozza fino al Manifesto):
Pasolini diceva “io so”, era rivoluzionario. L’Italia di oggi, praticamente in coro, dice “lo sapevo”, ed echeggia come un suono fesso. Il caso Rai-Mediaset è soltanto l’ultimo in cui il “si sapeva” è risuonato tonante e potente. E si sapeva sì! Se scompare Enzo Biagi e al suo posto arrivano Max e Tux, chi poteva non vedere, non capire?al che mi sono riletto il famoso articolo:
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.Qui tutto si gioca, alle mie orecchie, sulle due forme linguistiche contrapposte, il distacco da quanto ci succede attorno in quanto già noto è sempre o in forma impersonale, del tipo “ si sa”, o personale al passato:“lo sapevo già”, anche se personalmente la forma che ho incontrato di più è l’unione dei due:“già lo sapevamo”. Pasolini invece parla in una prima persona esplicita, chiarische chi è il soggetto, e parla di sé e per sé, ed inoltre al presente, la sua è un’azione, personale, si sente lo sforzo di quello che dice, mentre noi ci rifugiamo in uno stato -il passato-, in una condizione isolante, in cui la conoscenza spersonalizzata disattiva la realtà, il rapporto con essa, che nemmeno le "prove" possono riaccendere. E non è arroganza quella che porta Pasolini ad affermare tutto ciò ed ad ammantarsi del ruolo di “intellettuale”, basta vedere poi come si descrive, ovvero come un qualcuno che tenta di sapere quello che può e che lavora immaginativamente per comprenderlo, un qualcosa aperto a tutti -ok, lui era più intelligente di me e credo anche di voi che leggete- almeno in linea di principio, basta fidarsi di sé stessi, pronunciare quell’ “io”, anche rischiando di sbagliare. Poi ogni tanto la realtà per vie contorte scappa addirittura fuori, emergono “come stanno le cose”, ed addirittura diviene “comprovata”, finalmente “reale”, ma qui non solo non ha senso discostarsi da essa, guardar oltre che tanto si sapeva, ma nemmeno brandirla a mo’ di indignazione, contenti che ce ne hanno somministrata un po’, tiepida minestrina che ci scalda il cuore ma dura poco; forse toccherebbe a sto punto fidarci più di noi stessi in futuro, con lo prove o senza, ed agire di conseguenza (leggi: non ho la più pallida idea di come, cacchio sono solo uno stupido blogger che aveva bisogno di una conclusione).
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace;