30 aprile 2008

Sinecura: la questione sicurezza fra pancia e realtà

dice Sandro Medici (della Sinistra Arcobaleno, se esiste ancora),presidente del X municipio romano, Tuscolano, Cinecittà, Quadraro, zone tradizionalmente rosse ma in cui, guarda un po', ha vinto Alemanno:
Qui non abbiamo grandi problemi di sicurezza nel senso che, se guardi le statistiche, vedrai che non ci sono criticità e i vecchi del quartieri ti spiegheranno che negli anni Ottanta, con la guerra tra la banda della Magliana e i napoletani, era molto più pericoloso girare di notte da queste parti. Voglio dire che non è minacciata l'incolumità delle persone ma la loro familiarità con il luogo che abitano. Trovano la spazzatura davanti alla loro porta. Vedono gente che non conoscono. Sono invasi dal fumo dei fili di rame bruciati negli improvvisati campi rom. Questo spaesamento ha provocato l'incertezza che in Campidoglio non hanno voluto comprendere fino alla bocciatura di Rutelli. (da repubblica)
Io non so se la "questione sicurezza" sia pura follia di massa, non ho i "dati", sebbene i pochi che abbia letto parlino di riduzione negli ultimi anni di omicidi e furti nell'ultimo decennio, epperò vorrei ricordare che le follie di massa esistono -non fatemi fare i soliti nomi, tipo Hitler ed affini, che mica ci son solo le infatuazioni, sveltine, o veri e propri amori mostruosi per leader mostruosi-, insomma la follia, la mancanza a vari livelli di contatto con la realtà, non è da escludere dal panorama di quella strana cosa che è (siamo) la pubblica opinione. Certo che pensando alla storia ed alla geografia di queste paese sembra decisamente ancor più folle che si imponga nelle nostre teste -anche mia, che non avrò paura dei "rumeni" ma sto pur sempre scrivendo di questo- il tema sicurezza-dagli-stranieri (che questo è il vero nome del supposto problema, solo che il politically correct impedisce a molti di chiamarlo così). Tanto che il pover Rutelli (mannagggia a lui) gli imputa la sua sconfitta forse non a torto, il torto semmai è nel capire questa questione. Ripensando alla storia ed alla geografia appunto siamo il paese in cui nei caldi anni '70 si sparava per strada -ok, non ovunque e tutti i giorni, ma sicuramente faceva parte delle cronache del telegiornale quanto oggi i "rumeni", forse di più, ed ha fatto fuor di dubbio molti più morti di queste presunte "orde barbariche". Siamo il paese in cui come ricorda Medici poteva capitare di finire in mezzo al fuoco della criminalità organizzata pure a Roma, il "bel paese" in cui molte regioni del sud sono in mano -alla volte violentissima, altre pacificatrice e securitaria- alla italianissima criminalità organizzata, ché se quelli hanno provato ad esportare democrazia noi è un secolo che si esporta mafia, modello di business e pure di politica. Insomma, è evidente che qui ci sia un problema di percezione dei problemi se di botto (Bum!, chissà che cosa l'ha fatto sto rumore? forse la tv, forse la destra, forse pure noi) sentiamo prioritario uno che ci difenda dai rom, dai rumeni, dall'uomo nero, e non si parla più di altri questioni sociali (ricchezza e povertà?).

La lettura di Medici, secondo cui stiamo perdendo familiarità con i luoghi che abitiamo e di qui la paura - al che io penso pure ai centri commerciali, che non saranno campi rom ma so' quello strano incrocio fra familiare ed anonimo- è interessante, proprio perché, a differenza di tutti gli altri politici di sinistra non si accoda ad una versione realista del problema, ma si concentra su come percepiamo quello che ci sta avvenendo. Insomma toccherebbe che a sinistra [leggi: quelli che non vogliono gli Alemanno al campidoglio e Berlusconi al governo] si iniziasse a ripensare la questione sicurezza-dagli-stranieri, non dando ragione e realtà al problema come Rutelli che aveva proposto il braccialetto elettronico per le donne, oppure liquidando il tutto, così come personalmente avevo reagito, con una roba del tipo «ha vinto la pancia della gente» e rimpiangendo le teste, come se poi le teste non impazzissero a loro volta. Fra realtà e pancia, c'è infatti la realtà della pancia (e della testa, vista la coerenza interna dei securitari, il problema è il contatto con la realtà, non l'articolazione razionale), il problema esiste nella testa delle persone, e seppur non sia "ragionevole" tutto quello che ci passa per testa e corpo però esiste, c'è. Non è che tocchi né negare il sintomo e relegarlo alla bestialità, né blandirlo e stargli dietro cercando di soddisfarlo, se pure il sintomo non ha ragione, una ragione ce l'ha, una causa -sì, qui la confusione è essenziale- e toccherebbe allora lavorare sul sintomo come sulla cause -quelle che individua Medici ad esempio-, ché la paura del buio non si sconfigge uccidendo la notte, o dicendosi semplicemente "è una cosa di pancia" "irrazionale", ma solo parlandone e riconducendola alle sue cause reali (che di per sè non sono mai il "buio"). Come si faccia tutto questo è molto semplice, una volta si chiamava politica, o se vogliamo fare gli americani "opinion-making", che riguarderebbe provare a parlare con qualcuno che si è abbastanza perso fuori dal mondo e nelle sue paure, ma mi sa che il termine è da parecchio che non si usa in questa accezione.
(l'immagine è da rododentro)

28 aprile 2008

bastava annà a noleggià un dvd

che l'aveva già spiegato Sordi il rapporto fra tassinari e potere

Oltre il danno la beffa

primi effetti della giunta Alemanno, come commentò Karda: «Io lo so che non sono Soros anche quando sono Soros io lo so che non sono Soros e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango»

La Palombelli e le strisce blu

Fra le tante cause di questa invereconda sconfitta, oltre le tante responsabilità di Rutelli, Veltroni ed amici, ce ne è una folle e senza senso, forse ignota ai non romani, che però credo renda bene l'idea di 'sta città. Ovverosia la voce che Barbara Palombelli, la signora Rutelli, sarebbe la proprietaria «colla moje de Costanzo» (?!) della Sta, la società che gestisce le strisce blu -i parcheggi a pagamento- in tutta Roma, . Ho sentito questa leggenda, a mo' di imprecazione ad ogni euro introdotto nelle macchinette, qualche centinaia di volte, a destra come a sinistra, e negli ultimi giorni girava di nuovo di bocca in bocca Insomma abbiamo -hanno- candidato uno che non solo è detestato da mezza Roma -sinistra compresa- ma pure la moglie gli fa perdere voti

La vacanza di Alemanno a spese di Tanzi

facciamo campagna elettorale, finché c'è tempo, ecco Report che documenta la vacanza a Zanzibar di Alemanno a spese di Tanzi - sì, mr Parmalat-, che terminò l'esatto giorno in cui la commissione presieduta da Alemanno diede il via alla commercializzazione di un nuovo prodotto di Parmalat, "Fresco blu".

via

26 aprile 2008

Zizek: tutti abbiamo bisogno di un pollo


«Ci sarebbero due modi per rendere La vita è bella un film decisamente migliore,

realmente tragico, una sarebbe far sopravvivere il padre invece del figlio per
sottolineare proprio come il tutto sia stato drammaticamente senza senso,
ma ancora più tragico sarebbe mostrare il padre
che scopre alla fine come il figlio abbia sempre saputo la verità,
ma abbia finto e sia stato al suo gioco solo per rendere il tutto più facile per il padre»


Per gli interessati, è disponibile online l'audio della vivace conferenza che il filosofo e psicanalista Slavoj Žižek - a rigore un eccezionale fool di quelli che ci mancano tanto- ha tenuto una settimana fa al festival della filosofia di Roma. Qui in inglese -comprensibilissimo a parte la zeppola da Paperino- e qui in italiano (stranamente, nella sezione podcast di iTunes sul festival della filosofia, non compare il file). Come al solito mr Žižek è estremamente brillante, doveva parlare del '68 ma ha spaziato sui temi a lui più cari, dal sottolineare la struttura iper-ideologica delle nostre società che appaiono invece erroneamente post-ideologiche, all'esaminare barzellette, la povertà narrativa dei film porno -«ciò che è impossibile, censurato, è avere una vera storia e del sesso reale insieme, nello stesso film»-, passando per Niels Bohr, Donald Rumsfeld, Veltroni, fino ad i complessi di castrazione del suo interlocutore (il ben più compassato e noiosamente accademico Giacomo Marramao, la cui introduzione vi invito caldamente a saltare).

Ogni volta che ho modo di leggerlo, o come in questo caso di ascoltarlo con il suo divertirsi e con la sua voglia di parlare che lo prendeva mentre cercava di stimolare l'uditorio, non posso non pensare al termine "provocare" -lui stesso si definisce ad un certo punto di questi vivissimi 80 minuti "un provocatore"-, al suo etimo che rimanda al "chiamare fuori", ed effettivamente Žižek chiama fuori tanti pezzi di noi, parlando proprio di lapsus, di scherzi e barzellette, di concezioni che stanno al di sotto di un livello di coscienza e ce li mette dinanzi agli occhi -è pur sempre, a modo suo, uno psicanalista-, ma contemporaneamente quel "pro-vocare" mi rimanda alla possibilità che egli stia provando a parlare per noi, per chiamarci fuori deve in qualche modo farci parlare attraverso quello che dice, insomma il suo provocare mi pare molto politico, molto liberatorio, molto complesso ma soprattutto vivo e reattivo, cosa che la filosofia, anzi, i cosiddetti filosofi non sono quasi mai.

25 aprile 2008

Perchè il fascismo è sopravissuto ed il nazismo no

Sessantatre anni fa abbiamo -sì, mi ci metto proditoriamente dentro- tolto al fascismo italico il controllo di questo paese grazie ai partigiani che liberarono Milano e Torino, Mussolini era caduto, e più in generale è stato qui sconfitto quello che appunto si definisce nazi-fascismo. Per di più l'unione fra i due totalitarismi era stata ufficializzata da un bel patto (che in realtà era a tre, RoBerTo, Roma-Berlino-Tokyo), fra i due "timonieri" di queste due deformi navi di orrori. Eppure credo che fra le due sconfitte ci sia stata una enorme differenza, che ci riguarda molto. L'una, quella del nazismo, mi pare sia stata definitiva, mentre quella sul fascimo non sembra tale, come mostra la pancia ed il sentire di una parte consistente e centrale di questo paese, a differenze del nazismo che ha avuto riprese solo nei margini della società tedesca e dintorni (non che non tocchi tenere gli occhi aperti anche lì, ma comunque è un fenomeno che è ridotto a simboli e rituali ora per pochi, il fascismo è preoccupantemente più secolarizzato ).

E secondo me la differenza degli esiti di quella che fu una comune sconfitta dipende dalla differenza profonda fra le due ideologie, detto molto rozzamente, il nazismo aveva un progetto, folle e mostruoso (conquistare l'Europa ed il mondo, sterminare ebrei e "diversi"...), contraddittorio anche, ma comunque un progetto, e quel progetto è stato sconfitto. Punto, non si è realizzato, Hitler ha perso totalmente, nè altri sono ora in grado di riprendere quel progetto. Il fascismo invece mi sembra una cosa molto più scivolosa, è la destra nella sua triade Dio-patria-famiglia, è (ed era con Mussolini) il machismo, l'amore per la violenza, il maschilismo, il razzismo, non come progetto, ma come reazione viscerale, insomma una serie di pulsioni bestiali (quindi umanissime) e tuttora diffusissime. Mussolini veniva -per gli dei!- dal socialismo ma riunì i primi fasci di combattimento in una sala di confidustria, nazionalizzava le imprese e se ne impadroniva e però ammazzava i rossi fin dall'inizio, si alleava con Hitler e contemporaneamente vendeva le armi agli inglesi. Non c'era un progetto, un obbiettivo preciso, l'obbiettivo era il potere, in una maniera trasformistica e dalla mille facce che a dirla tutta forse è proprio quella caratterizza l'Italia di contro all'idealistica Germania -ahimè come la mafia il fascismo è una cosa che abbiamo esportato in tutto il mondo. Mussolini ha sì fallito, ma non è fallita un'idea, perchè non c'era mai stata, e di qui il suo rimanere alla base della nostra società, a prescindere da croci celtiche o busti di un pelato mascelluto.

24 aprile 2008

«Roma mi par proprio che stia diventando un prolungamento, magari un quartiere periferico di una ideale Cinecittà»

Curiosando nell'archivio storico del corrierone -a dover ed in punta di cronaca, da oggi anche repubblica ha aperto a tutti il suo - ecco qui un testo di Giorgio Manganelli che racconta da par suo di come Nicola Signorello, sindaco democristiano di Roma a metà annni '80, pare volesse trasferirsi dal Campidoglio alla meno imperiale via Cola di Rienzo. Non sono riuscito a trovare traccia in rete dell'accaduto, né ho trovato conferme sul fatto che il sindaco di Roma abbia mai abitato in Campidoglio, comunque mi è sembrato in tema con questi giorni elettorali.

di Giorgio Manganelli

Il sindaco che abita in Campidoglio? Una trovata da Cinecittà

Il Sindaco di Roma, il signor Signorello, ma potrebbe anche chiamarsi Giulio Cesare, lascia il Campidoglio e va ad abitare, in quanto sindaco, in via Cola di Rienzo. La cosa mi piace. Signor Sindaco, in via Cola di Rienzo si troverà bene. C' è vita, bei negozi, salsamenterie ricche, anche sfiziose, supermercati, cartolerie dove si possono comprare bei quaderni a righe e quadretti. Leggo che lei dimorerà al numero 23. Un numero come gli altri, un indirizzo terrestre, senza storia, che non allude all' eternità, non fa programmi avveniristici, non è il supposto quanto fittizio centro di un impero dello spirito. L' idea che il Sindaco di Roma debba abitare in Campidoglio è, a mio avviso, una mediocre trovata cinematografica. Roba da film in costume, come quelli su Scipione l' Africano, faccende da Ben Hur, da Quo Vadis?. Forse noi pretendiamo che il signor Signorello vada alla seduta vestito con l' armatura? Che usi come macchina ufficiale una biga con cavalli bianchi? Che impari ad avvolgersi attorno al corpo una tunica, no, si dice toga, candida e ricca di pieghe? Macché. Il Sindaco veste, appunto, di grigio, va in quel posto scomodo a fare il suo mestiere, e si rifiuta da sempre di salire su di una biga. Ora fa di più. Non so se sia una sua scelta personale, un capriccio da primo cittadino, o una scelta burocratica, tecnica. Una punta di squallore impiegatizio non mi dispiacerebbe. Mi piace l' idea del Sindaco di Roma che sta in via Cola di Rienzo, in un posto rumoroso, non bello, ma vivo, vecchio ma non antico. Questo mi sembra il significato, diciamo l' allegoria del trasloco del signor Sindaco. Roma ammette che era tutta una burla. S' è annoiata di recitare questa parte da comparsa in costume per Cinecittà; perché Roma mi par proprio che stia diventando un prolungamento, magari un quartiere periferico di una ideale Cinecittà. La Storia, il Diritto, l' Arte, l' Impero, Giulio Cesare e i Borgia. Cose così fatte, o stanno in piedi per forza di stile, o diventano cattivo cinema, con i colori chiassosi, e la gente che dice Ave, e fa finta di parlare traducendo dal latino. No, quella Roma non c' è più. Forse è male, forse no. Il Campidoglio non serve, è inutile darsi delle arie; Roma è una città parente di Rieti, di Lodi, di Foggia, di Grosseto. Certo, è molto più grande; c' è tanta gente; da qualche parte, ci sono dei monumenti, tanto antichi che vanno in briciole. Ha lo stesso nome di una città antica che ha fatto un gran putiferio. Anche in America, magari nell' Ohio, nell' Illinois, ci sono città che si chiamano Roma. Secondo me questa Roma ha preso il nome da quella cittadina dell' Ohio. Il Campidoglio è nome buono per i fantasmi; Cola di Rienzo è un nomaccio plebeo, di un tal litigioso capopopolo. Uno che non fingeva di parlare traducendo dal latino.

23 aprile 2008

città elettorale /2

Ieri pomeriggio, in un'altra passeggiata romana (da Prati Fiscali a Corso Francia) ho finalmente visto un discreto numero di manifesti del centrosinistra per il ballottaggio. Erano di Zingaretti*. Evidentemente la provincia conta più di quanto creda, oppure la faccia di Rutelli -o il nome stesso- improvvisamente è impresentabile, qui compare solo in un manifesto del Pdl mentre sta per sbaciucchiare Prodi, e sotto compare la scritta «no grazie, abbiamo già dato». Arisperiamo bene.


*che poi con quel nome che evoca i Rom...

21 aprile 2008

tempi cupi

mica per fare terrorismo psicologico, che qui all'Italia (o alitalia) sono altre sicuramente le nubi scure che si presentano all'orizzonte, però in giro si inizia già parlare del prossimo sciopero degli attori americani. Tanto per dire, la stagione 5 di lost sarebbe così a rischio. Tempi cupi davvero.

Cioè

Cioè, alla fine, quello che ci porta l'iPhone in Italia è mr. "Napoletone ha vinto a Waterloo", e non fate quelle facce da senso critico.

città elettorale

in una passeggiata tardo-mattutina da piazza San Giovanni fino a piazza della Repubblica, qui a Roma, ho avuto modo di vedere una quindicina di manifesti pro Alemanno, ed uno solo per Rutelli, che era anche bello complicato fra l'altro, ché era uno di quelli in cui il tal candidato ringrazia per i voti ricevuti ed invita a votare al ballottaggio, insomma troppo piccole le varie parole che eran troppe e nessuna foto del bello guaglione. In più mr Alemanno aveva anche messo un gazebo -io li odio- davanti a S. Maria Maggiore, con tanto di bandiere e foto.

Non ho ancora capito se questo apparente disimpegnarsi dal coprire le mura romane da parte di Rutelli sia un buon segno o no. Speriamo bene.

15 aprile 2008

solo per dirne una: in Emilia Romagna (E-m-i-l-i-a R-o-m-a-g-n-a) la Sinistra Arcobaleno ha preso alla camera il 3%, ovvero 84.000 voti; la Lega il 7,77, 217.00 voti. Nel 2006 Rifondazione+Verdi+Comunisti erano al 10,06 per un totale di 293.000 voti, la Lega aveva il 3,92 con 115.000 voti.
La listi Uniti nell'Ulivo alla camera aveva preso il 31,3%, ora il Pd ha il 33,17%. La differenza è di 1.87 punti percentuali. Se aggiungiamo che ora il Pd ha con sè anche i radicali, che nel 2006 insieme ai socialisti come Rosa nel pugno presero il 2,6%, ed attribuendo anche solo un punto di questa ai radicali, il dati da comparare diventano 32,3 nel 2006 e 33,17 nel 2008. L'effetto Pd vale 0,87 punti percentuali, ovvero trecento mila (300.000) voti.

UPDATE: Bettini ha detto al tg3 che sono andati molto avanti rispetto alla somma dei due partiti!!!!!
Vi ricordate quando Diliberto (che in queste ore è nascosto non si sa dove) voleva portare qui in Italia la mummia di Lenin? Beh, ora ne abbiamo la prova, lui e gli altri volevano compagnia.
il reale programma del leader più atteso nelle afriche mediterranee ed equatoriali, ma anche subequatoriali: l'importante è partecipare (Guzzanti l'aveva capito anni fa)
W, prendi tutto e vai in Africa, mo', di corsa, e già che ci sei portatene dietro un po'

13 aprile 2008

voto sinistro

«Chiunque vincerà io perderò»
Gattostanco via Phonk.

E' la terza volta che voto alle politiche, e per la prima volta so che comunque vada al massimo si limitano i danni (intendiamoci, il danno Berlusconi sarebbe catastrofico, quindi mi disgiungo al Senato qui nel Lazio), e che la vittoria non è nel novero delle possibilità logiche (voto Sinistra Arcobaleno, tappi nel naso e pure nelle orecchie). Insomma, dopo due elezioni soffuse di timide speranze unitarie ed uliviste, oggi, nell'urna, in onore alle vecchie tradizioni, proverò finalmente che vuol dire essere di sinistra in questo paese

E pensare che, come potete leggere qui sotto, per i Romani "sinistro" aveva un'accezione positiva, augurale, mentre dai dannati Greci in poi è nata quest'aura catastrofica, infelice, di sciagura annunciata (credo fosse Foucalt che invitava le varie sinistre, quella italiana in particolare, a trovare un'altra parola per se stesse di modo da dissociarsi dall'aggettivo sinistro)

12 aprile 2008

«scusi, lei è povero?»

Nella mia vita non ho mai incontrato nessuno che si definisse “povero”, o più dickensianamente mi dicesse ad un certo punto del discorso una roba del tipo “vengo da una famiglia povera”. Va bene, in realtà nessuno tranne i mendicanti ed i loro cartelli. Che non sono pochi e mi scuso della nessuneità attribuitagli. Comunque tolti loro non ho incontrato nessuno che si definisse tale, né adoperasse altri sinonimi come “indigente, incapiente, bisognoso...”, insomma nessuno che si iscrivesse esplicitamente in questa famiglia semantica. Ed effettivamente l’avesse fatto, questo “nessuno” che nel caso ora supposto diventa inevitabilmente un “qualcuno”, me ne sarei stranito, ché forse davvero la parola oramai è d’uso solo per tentativi di muoverci a pietà e richieste d’oboli, dei lavavetri come dei maxiconcertoni. Ho chiesto in giro, e tranne due eccezioni, tutti mi hanno confermato di come la parola, l’aggettivo, manchi dallo spazio sonoro quotidiano, vissuto. E non è che io frequenti solo “ricchi”, anzi praticamente non ne conosco, e nemmeno solo classe media -cui appartengo-, insomma, come tanti conosco, frequento, sono amico di gente che è precaria a due lire due, che è figlia di operai o insegnanti delle superiori -che tanto poco ci manca- ed anch’io, senza la famosa famiglia alle spalle, sarei in grossi guai economici. Pensavo a questa mia poca familiarità vissuta con questo termine, anzi con l’aggettivo, di contro a quanto in questi giorni, ma non solo, sui giornali si parla spesso del sostantivo, della “povertà” diffusa fra noi italiani («“vecchietti” che rubano nei supermercati», «difficoltà della quarta settimana, anzi terza»). D’altronde, oltre ai quotidiani che tirano in ballo Istat, Censis e Caritas, l’impoverimento generale è visibile ovunque, oltre che percepibile direttamente dagli spazi vuoti e dalle voragini che si trovano nelle proprie tasche, e non è che non si parli di soldi fra amici, conoscenti e quasi-estranei, che oltre il tempo e le prestazioni calcistiche, il “caro-euro” è una garanzia del discorso meccanico e automatico. Eppure, ripeto, di qualcuno che si definisca “povero” neanche l’ombra; senza una lira, non ricco, con debiti, che non può venire al cinema perché non se lo può permettere sì, ma povero mai.

Certo, per capire perché non ci si riconosce più in questa parola, qui ci vorrebbe una definizione di "povero", il che è una cosa complicatissima, e dire che è qualcuno che non arriva a fine mese non basta, ché un conto è il fine mese di un ruandese un conto di un italiano, poi si può arrivare a fine mese a stento per pagare un mutuo di una casa di 300 mq in pieno centro e la benzina per il Suv, o in affitto in periferia tagliando pure sui viveri. E forse questa confusione è indicativa di come stiamo perdendo una categoria importante nella sua semplicità, che descrive e soprattutto caratterizza il mondo in maniera decisiva, che rimanda a quella necessaria conflittualità fra ricchi e poveri che c’è da quando esiste la narrazione umana e quindi la civiltà. Per inciso, forse una dei grandi meriti della sinistra, comunista e non solo, era stata l’aver tirato fuori una nuova parola, “proletario” o “classe lavoratrice”, quasi coestensiva a “povero” ma che toglieva fuori, chi ci si riconosceva, da questa strana atmosfera peggiorativa che da un po' ha, stupidamente, iniziato a circondare il termine. Il "povero" rimanda, rimandava forse, in parte alle favole, così come ad un’Italia contadina e affabulatoria che di esse si nutriva - e lì c’era ancora qualcosa di essenziale e centrale, la rabbia ma anche un saper vivere-; da qualche decennio invece fa pensare all’Africa, al terzo mondo in genere, ad i “paesi poveri”, baracche e quant’altro, od ai pezzi di terzo mondo che sono qui da noi, come i mendicanti, i lavavetri, insomma agli altri, a quelli fuori dal gioco, che evidentemente il gioco del consumo, dei centri commerciali in cui ci sono tutte le classi sociali, non ammette poveri, e d’altronde è sempre più difficile usare questa categoria quando con 30 euro vai a Londra (i poveri non fanno i turisti, nemmeno low cost, al massimo i viandanti col fagotto o gli emigranti). Si parla di spesso “soglia di povertà” e non si capisce più se la si è attraversata o meno, quanto sia davvero vicina, perché comunque si parla sempre di povertà in generale o di poveri che son altri e distanti, anche semplicemente fuori dal finestrino della macchina. Attenzione però a non guardarsi nello specchietto retrovisore.

01 aprile 2008

Chiarimenti sul voto utile al Senato

ricevo e pubblico dall'amico Massimo, fra i collaboratori di questo blog che però ha perso la password, questa analisi puntuale delle nostre future sventure berlusconiane e delle decisioni più utili ad evitarle. una delle cose più interessanti che spiega è che in alcuni regioni il voto alla Sinistra arcobaleno toglierebbe comunque seggi al centrodestra, anzi sarà addirittura fondamentale che al Senato superi lo sbarramento. In altre, come nel mio caso del Lazio, invece non c'è scampo,tocca votare PD.

Partito democratico o Sinistra Arcobaleno?
Chiarimenti sul voto utile al Senato

La legge elettorale con cui ci accingiamo a votare è deprecabile sotto tutti i possibili punti di vista. Uno di questi è il perverso meccanismo degli irrazionali calcoli legati alla prefigurazione dei possibili esiti nella composizione del futuro Senato; ultima speranza per frenare l’ennesima ascesa di Berlusconi e dei suoi al governo di questo paese. Se, sondaggi alla mano, alla Camera non ci sono speranze; al Senato si possono ancora fare considerazioni strategiche. Non entro nel merito nel concetto di voto utile, ma mi limito a descrivere tecnicamente il risvolto, nei diversi casi, del voto per il Partito democratico o per la Sinistra Arcobaleno.

L’ipotesi teorica prevede, fisso il numero dei voti della coalizione berlusconiana, l’analisi dell’incidenza, regione per regione dell’alternativa fra le due diverse opzioni di voto.
In altre parole uso qui il termine “utile” con il significato di “atto a sottrarre seggi alla coalizione berlusconiana”; senza nessun’altra connotazione politica.
Solo le liste sopra l’8% accederanno alla ripartizione dei voti. Il raggiungimento di tale soglia, affatto scontato, da parte della Sinistra Arcobaleno in alcune regioni è utile, in altre indifferente e in altre ancora dannoso.
Il tutto, infatti, sarà deciso da quella che è stata definita la lotteria dei premi di maggioranza regionali. Le regioni prese in considerazione sono 17 perché il meccanismo del premio di maggioranza non esiste per Valle d’Aosta, Trentino – Alto Adige, Molise e per il Collegio estero.

Regioni in bilico: Abruzzo, Calabria, Friuli, Lazio, Liguria, Sardegna
Per mettere a repentaglio la maggioranza Berlusconiana, è necessario, in queste regioni, che la coalizione di centro – sinistra (Pd + Di Pietro) prenda almeno un voto in più della coalizione di centro – destra (Pdl + Lega + Mpa). Nella nostra accezione di utile, quindi, in questi casi sarebbe opportuno votare per il Partito democratico.

Regioni “rosse”: Basilicata, Emilia, Marche, Toscane, Umbria
In queste regioni, presumibilmente, la coalizione guidata dal Pd si aggiudicherà il premio di maggioranza (pari al 55% dei seggi) con facilità. Il restante 45% sarà diviso fra le altre liste con una percentuale di voti maggiore all’8%. Se la Sinistra Arcobaleno raggiungesse tale soglia sottrarrebbe seggi al centro – destra.

Regioni perse: Campania, Piemonte, Puglia, Sicilia
In queste regioni è molto improbabile che il Pd raggiunga un numero di voti maggiori rispetto alla coalizione berlusconiana. Sarà quest’ultima ad accedere al premio di maggioranza; mentre le restanti liste si spartiranno il 45% dei seggi. Al fine di determinare i seggi spettanti al centro – destra è, dunque, ininfluente se la SA raggiunga o meno la soglia di sbarramento; in tale eventualità, infatti i seggi sarebbero sottratti al Pd.

Lombardo – Veneto
: Lombardia, Veneto
In queste due regioni la vittoria della coalizione fra il Pdl e la Lega supererà, probabilmente, la quota di seggi che si otterrebbero con il premio di maggioranza. La ripartizione fra le liste, che avranno superato la soglia dell’8%, sarà, allora, calcolata su base proporzionale. È, in questo caso, fondamentale (data anche la grandezza delle regioni) che la Sinistra Arcobaleno superi l’8% dei voti; in tal caso, infatti, i seggi guadagnati sarebbero sottratti in proporzione alle liste maggiori, prima fra tutte quella del Pdl.