25 maggio 2008

De Gregori ed il principio di contraddizione


Francesco De Gregori
in giovane età mi introdusse ad uno dei grandi principi della vita umana, che inombra e trascende la pur tragicamente veritiera “regola dell’amico” di Pezzali, le regole sfigogene di Murphy o perfino la più neutra legge di gravitazione universale , ovvero il fondamentale principio di contraddizione. C’è un verso de La lega calcistica della classe ’68 che recita, anzi canta dei giocatori tristi che non hanno vinto mai e che

sono innamorati da dieci anni con una donna che non hanno amato mai.

Dentro questa frase mi ci iniziai a perdere a tredici/quattordici anni, mi immaginavo, mi chiedevo di questo innamoramento che non è amore, pensavo senza troppo capire alla falsità di sentimenti veri (?) che va oltre a quelle cose da romanzo, o da vita quando uno se la racconta, in cui il protagonista realizza che non ha mai amato la sua (presunta) amata. Qui infatti non si nega l’innamoramento, ma l’amore, non una roba del tipo «non ti ho mai amata», piuttosto «nel mio innamoramento non ti ho mai amata», e sta cosa mi affascinava perché seppur incomprensibile, contraddittoria linguisticamente e sentimentalmente, c’aveva una sua plausibilità per me, e non caso c’avevo proprio a che fare con la tristezza, con la malinconia del paradosso.

Una volta, in macchina con un amico, e stiamo parlando di quasi un decennio fa, mi ritrovai pure a difendere questa frase, che lui si ricordava in maniera diversa e che rigettava come impossibile e riformulava in maniera più coerente; ero sicurissimo di me nella panda bianca dalle parti di Prima Porta e ribattevo che era così come la trovate poche righe qui sopra, che ero pronto a scommettere somme enormi, ma dentro di me ero terrorizzato che avesse ragione, che uno dei pezzi fondanti della mia vitarella fosse un fraintendimento. Tornato a casa, e controllato con le mie orecchie che il verso era quello che ricordavo, fui soddisfattissimo, ed all’amico l’ho fatto presente qualche volta negli anni successivi a mo’ di ripicca.

Ieri sera c’era De Gregori da Fazio alla tivvì, e l’ha cantata. Sarà stato il pesto ingurgitato, lo scazzo, la prosaicità dell’età che avanza e concede meno alla fascinosa irragionevolezza (in realtà a me sembrerebbe il contrario), insomma, ho capito che forse, sottolineo forse, avevo frainteso il tutto, o per lo meno (salvo il salvabile) sia possibile un’altra lettura della frase adorata. Insomma, ieri sera ho capito che esiste una lettura prosaica e banalotta (e De Gregori all’epoca non era banale), ossia che ‘sti giocatori tristi fossero innamorati (verbo di stato, di sentimento) di donne che non amavano (verbo di azione), con cui quindi non si davano a baci, carezze, amplessi tantrici od anche fosse solo scambio di coppie in privé bui e fumosi. Per me i due verbi erano verbi di sentimento, di azione sì ma sentimentale, desiderativa , non avevo mai pensato, ma proprio mai per più di un decennio, che quel “una donna che non hanno amato mai” si riferisse a qualcosa di concreto, prosaico, al sesso, al contatto fisico, o più in generale all’essere riamati e compiere così il loro sentimento, per cui i giocatori tristi non sarebbero altro che dei desideranti che non ottengono mai –per dieci anni appunto, che qua i dieci anni e dintorni stanno tornando spesso- ciò che desiderano, la donna.

Ora potrei sperare di dimenticare tutto ciò in un bel sogno o dentro un’altra canzone, e un po’ sono tentato, in realtà non è che mi importi molto se davvero questo sia “il vero significato” del mio adorato verso, o di quale sia il suo reale significato, più che altro le due letture sono fuse nella mia testa, l’una sull’altra, forse ancora più contraddittoriamente, e non posso fare a meno di pensare al fatto che noi essere umani siamo l’unica specie animale che l’amore non lo impara facendolo, provandolo, ma piuttosto parlandone, leggendone storie, ché è da queste cose che si vede un essere umano, un essere umano lo vedi dalla confusione, dal desiderio e dalla fantasia.

4 commenti:

Vaaal ha detto...

Proprio un bel post.

Dovresti chiamare al tuo amico e chiedergli scusa!

boliboop ha detto...

Qualunque cosa avesse voluto dire il cantautore, quella frase è stata per anni la tua frase, non la sua. E in quanto tua, aveva anche la tua interpretazione. Dire che l'intenzione dell'autore abbia un peso maggiore della tua interpretazione personalissima è come sostenere che le canzoni (o le poesie) siano di proprietà dell'autore anziché del lettore. Pura follia.

Massimo ha detto...

A me piaceva questo:

Ditele che l'ho perduta quando l'ho capita
Ditele che la perdono per averla tradita

ma è, forse, solo un verso maschilista!

Anonimo ha detto...

A me fa tornare in mente, come cantava Dalla
"Quale allegria? Se ti ho cercato per una vita senza trovarti, per vederti andare via?"
Quel trovarti...