Sullo scorso numero di Internazionale c'era un articolo dello psicologo e scienziato cognitivo Steven Pinker, dal titolo In difesa delle idee pericolose (qui in inglese, sorry ma gli italiani son più chiusi e non ci lasciano leggere i loro contenuti online), in cui argomentava contro la possibilità che nella ricerca scientifica vi siano dei tabù, dei limiti che facciano escludere alcune domande dal dibattito in quanto socialmente scomode o contro i nostri ideali, roba del tipo (cito) "La situazione ambientale è migliorata negli ultimi cinquant'anni?" o "L'omosessualità è una malattia?, o "Le religioni hanno ucciso più persone del nazismo?" (le risposte le conoscete, vero?). Alla fine del medesimo articolo lo stesso Pinker riconosceva però come nella stessa scienza, od in altri contesti razionali, si può scegliere per l'ignoranza, si può decidere di non farsi rivelare un segreto temendo minacce, o rifiutare una domanda incriminante, o decidere di non sapere a chi è stato somministrato il placebo ed a chi il medicinale da testare. Non credo però che, per lo meno per certe "domande pericolose", questo sia il corretto approccio. Non c'è sempre bisogno di scomodare il tabù basta ripensare alcune di queste domande -e le possibili risposte che temiamo- soprattutto quelle che coinvolgono concetti umani, troppo umani, quali concetti morali, antropologici, che hanno a che fare con la nostra vita.
Ripensavo a tutto questo leggendo che il genetista premio Nobel James Watson (quello che fin dalla scuola abbiamo imparato ad associare a Crick per la scoperta della struttura del DNA) ha affermato che i neri, gli africani in particolari, sono meno intelligenti . E' in definitiva superfluo ricordare al professor Watson l'elementare verità, portata alla luce da Luca Cavalli-Sforza, che parlare di "neri" o di razza non ha nemmeno più senso, visto che il mio Dna potrebbe essere più simile a quello di un Masai che a quello del mio vicino di casa. Il problema è che la scienza -quella ideologica così come quella corretta- non può pretendere di esercitare la stessa forza di controllo sul concetto di "intelligenza" come lo ha sul concetto di "adenina" o di "proteina". Quello che si deve vedere, che capire è già troppo, è che "intelligenza" è una parola che tira in ballo talmente tante cose (quali? appunto!),che qualunque sua irregimentazione scientifica non aggiungerebbe chiarezza al concetto (come ha fatto spiegandoci che l'acqua è H2O) ma lo distruggerebbe. Altro che Q.I. o capacità logico-simboliche, che son ovvietà, ma l'ambiente, fisico, emotivo, culturale, in cui si cresce, non avrebbero importanza? E come si fa a misurarle? Ma soprattutto che senso ha misurarle? Per vedere le differenze e le identità fra le persone è sufficiente parlarci, incontrarle, aprire gli occhi, abbiamo davvero bisogno che la scienza ci dica che l'omosessualità non è una malattia, o che potenzialmente siamo tutti uguali? Come potrebbe, e perchè? Non è un tabù dire che la scienza non c'entra molto con simili domande, non è paura della risposta, piuttosto è la consapevolezza che la scienza in questi ambiti può aiutarci a smontare imposture come ha fatto Cavalli-Sforza, ma non ha le "risposte", se ci sono son sempre state là, in quello che facciamo, proviamo e vediamo, non c'era bisogno della genetica nell'antica Grecia per capire che gli schiavi e le donne non erano e non sono inferiori, non c'è ne bisogno ora, la domanda non si pone, basta saper guardare.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Siamo di fronte a un rapporto di potere tra dominanti/dominati, "bianchi"/"neri", uomini/donne, eterosessuali/omosesuali ...eccetera, eccetera.
Disgraziatamente chi detiene il "potere" (semplifico, ma spero di essere compresa) "inferiorizza" l'altro/a anche se questo/a "inferiore " non è.
E' il grosso paradosso, il problema o l'impensato di categorie come "razza" e "sesso" ...
Il "dominatore" (nel caso da te citato lo studioso "bianco" o "occidentale") misura "l'intellegenza" di altri/e sui suoi propri paradigmi (che sono intrisi di razzismo, mito della superiorità "bianca" ...)
La strada da fare è lunga ...
sono d'accordo, queste stesse categorie che tu nomini (razza, sesso) trascinano con sè l'affermazione dominante di una prospettiva
riguardo la strada da fare non so se sia "lunga", perchè non so se sia una strada da percorrere, forse il percorso è molto breve solo che richiede uno scarto di lato, un movimento laterale che le strade -le prospettive- siì permettono ma non esibiscono direttamente. Per intenderci, non credo che sia il caso di imparare qualcosa di nuovo, di convincere le persone (è il caso "anche" di questo), ma di cambiare modo di essere...
Posta un commento