8° giorno Mercoledì 29 Ottobre
Si parte con Kill Gil volume 2 e 1/2, il documentario lascito di Gil Rossellini, figlio di Roberto. Colpito quasi quattro anni fa da un infezione fulminante e rarissima che lo ha paralizzato alle gambe, oltre che avergli devastato l'organismo dopo averlo ridotto per oltre un mese in coma. Non ho visto i due precedenti volumi, che hanno girato per festival e ottenuto discreta visibilità, questo purtroppo è in tragica continuità con entrambi, visto che continua il calvario di ospedali, decine di operazioni, dolori tremendi. Già il secondo volume voleva essere quello del ritorno alla vita normale, al suo mestiere di regista di documentari dopo una vita "avventurosa" che lo aveva portato a suonare come musicista professionista, a fare il corridore automobilistico e viaggiare il mondo. Purtroppo nè il secondo volume né questo secondo e mezzo raccontano il suo aspicato ritorno ad una forma di normalità, quest'ultimo si conclude il giorno prima della sua morte, il 3 ottobre scorso-lui stesso ne stava montando una versione ovviamente diversa. Questa stessa serata, con molti familiari, amici e medici presenti, era stata pensata e voluta da Gil stesso, ed il documentario doveva raccontare tutt'altro, ma purtroppo il grave peggioramento a fine agosto, l'amputazione della gamba successiva, hanno fatto sì che non ce l'abbia fatta, ed in sala c'era questo senso profondo di lutto, di mancanza. E' un documentario-diario molto tosto, sincero e mai retorico, con sprazzi di ironia commovente -quando decide di battezzarsi commenta con la sua voce malferma «non è questo il luogo per dare spiegazioni» e parte in sottofondo la musica di Jesus Christ Superstar-, con un montaggio alternato fra ospedali e festival del cinema, da Maiori a Doha, in Qatar, invitato al festival di Al Jazeera.
Nell'ultimo anno e mezzo riesce anche a produrre il suo primo lungometraggio in HD, quello di un concerto della Dizzy Gillespie Jazz Band. Un uomo così determinato in vita mia non l'ho quasi mai visto, lucidissimo, con una voglia di vivere in pieno incredibile, che progettava il suo futuro come "attivista radicale per i diritti dei disabili", che sperava ardentemente che Tarantino gli facesse causa. Mostra anche senza remore, ma senza indulgere, alcune delle sue 45 operazioni in tre anni e mezzo, scene forti, tant'è che in sala sono svenute due persone, ma non si riusciva ad interrompere la proiezione ed accendere le luci per stupidità di un'organizzazione pessima.
Gil Rossellini ci mostra anche quando si trova lui stesso a decidere se amputare la propria gamba quasi cancrenizzata, il tutto in maniera molto schietta, molto secca e netta, catturato in qui precisi momenti, ma con una voce dal di fuori che se possibile era ancora più asciutta. Quando gli chiedono, mi pare in un'intervista televisiva, il perché abbia fatto tutto questo, questi tre film, racconta come al risveglio dal coma trovò la sua telecamera sul comodino, ed inizio a riprendere ciò che vedeva.
Lo vediamo per l'ultima volta in carrozzina, con un gamba in meno ma un gran sorriso mentre gioca in un parcheggio, il giorno prima della sua morte. Sui titoli di coda scorre la sua esibizione alla libreria Bibli di Roma, dove in duo con un altro chitarrista suona Wish You Where Here.
«Perché l'ho fatto? Perché sono un documentarista e non potevo non fare un documentario sulla cosa più interessante che mi fosse capitata»
In serata c'è Effedià, documentario omaggio a Fabrizio De André, con Dori Ghezzi -l'ha prodotto lei- e Cristiano De André in sala. Diretto da Teresa Marchesi, una delle giornaliste di spettacolo del tg3 -sti comunisti, entrano pure nei festival dei fasci-, in cui essenzialmente De André parla sempre in prima persona, in un montaggio di interviste e fuori onda - sempre della Marchesi, che era pure amica- che in realtà se siete amanti de Il Cantautore per eccellenza è probabile che abbiate già visto. Molto bella la parte in cui De André parla con grande affetto e senza paternalismo dei nomadi, dei rom, molto attuale soprattutto, anche troppo visto che la Marchesi non lesina nel farci vedere le immagini del campo rom bruciato nel napoletano in maggio - anche se ci sta, fa bene a farle vedere 'ste cose. Completamente inedita, per me almeno, la parte in cui parla del suo sequestro -di suoi commenti in merito ce ne sono pochissimi- dove arriva a giustificare sentimentalmente, ma non moralmente, i suoi rapitori, vecchi pastori che «una volta vivevano seguendo semplici 24 regole, e poi si son viste arrivare le leggi sabaude, e poi le mercedes» (sì, ok, forse la prende troppo alla larga e poi accelera). Comunque il tutto non regge, troppo televisivo, banalotto, nonostante le parole di De André stesso, che però rischiano di consumarsi se le mandano a ripetizioni, sempre quelle. Per dire, nessuna ricostruzione biografica, nessun approfondimento sulla sua -tormentata- figura. Sembra un santino. Su Youtube si trova materiale a volte più interessante-qui vi metto un bel video.
Nella sezione dedicata a "Fabrizio e gli altri" -una cosa del genere- mica c'era, per dire, un Villaggio che raccontasse gli scherzi giovanili e le scorribande da discoli, o le comune passioni giovanili -e per De André non solo- anarchiche. Mica hanno intervistato Massimo Bubola, suo grande collaboratore con cui scrisse fra le altre Don Raffaé, Fossati o De Gregori, che hanno entrambi scritto un album con lui -ma pare che abbiano litigato con De André all'epoca ed ora la Ghezzi continui, dato che non li ha invitati nemmeno nell'omaggio del 2000. Od anche il grande Massimo Pagani, suo arrangiatore, musicista, co-compositore, uno che ha messo in piedi al 50% quel capolavoro incredibile che è Creuza de Ma. Od anche lo stesso figlio lì presente, Cristiano, fine musicista, che ha suonato col padre dal vivo e non solo per più di un decennio. No, non hanno intervistato questi, ma Fiorello, che non l'ha mai conosciuto, e che ne canta una canzone.
Unico altro momento degno di nota è Wim Wenders, che si dichiara suo grandissimo fan, che lo "equipara" a Leonard Cohen, Van Morrison e Brassens (non mi ricordo se ha detto pure Dylan), e racconta del suo incommensurabile amore -ne ha usato una canzone nella colonna sonora del suo ultimo film su Palermo-, di come tenti di esportarlo in giro nel mondo. Addirittura di come un grande produttore di rock americano -non ricordo il nome- sono anni che tenti di organizzare un grande concerto tributo a New York con artisti internazionali.
A tarda serata c'era anche il film tratto dal romanzo di De André, intitolato Amore che vieni, Amore che vai. Ma ho temuto una bufala, e sono andato a vedere Pride and Glory con Colin Farrell, Edward Norton, e Join Voight. Il regista non so chi sia e non lo voglio sapere, che é un film inutile, storia di poliziotti corrotti in cui svetta Norton, ma che è uno spreco di telecamere, di interpretazioni e di stereotipi, ché Hollywood c'ha proprio soldi da buttare per questo film né bello né brutto, inutila appunto. Forse questa deve essere una nuova moda, una nuova estetica, l'inutilità, ma purtroppo non sembra consapevole, ché sarebbe meglio.
Frammento de sinistra: Renzo Rossellini, fratello di Gil, che ricorda come Gil abbia fatto questo documentario per far sì che il nostro sguardo spaziasse sulla condizione umana di molti, su cosa succede nel mondo. Ed al che sottolinea come ora ad esempio non si possa non guardare a quanto stanno facendo gli studenti, gli universitari, gli insegnanti.
Frammento cinephile (du role): qui il ruolo è quello del medico, che accorso da uno dei due svenuti durante la proiezione di Kil Gil, commenta divertito «Beh, si vede che il film funziona»