29 ottobre 2008

Diario del vostro blogger infiltrato al festival del film di Roma 2008 - giorno 6

6° giorno Lunedì 27 Ottobre

Il 6° giorno -non il settimo per non sembrare arrogante - mi son riposato, dal festival, ché son andato a lavorare (altrove). Quindi solo due proiezioni serali. Prima di tutto JCVD di Mabrouk El Mechri, liddove JCVD altri non è che Jean-Claude Van Damme, un divertito ed ironico film, un po’ finto documentario, tutti a dire mockumentary, ma nemmeno troppo, che a me è parso un film narrativo, solo che il protagonista è Van Damme in quanto Van Damme, la movie-karate-star, insomma un intreccio fra realtà e finzione, che racconta di un intreccio fra realtà e finzione. Per una serie di sfortunati e folli eventi Mr JVCD viene creduto il responsabile di una rapina in un ufficio postale, con annessi ostaggi e barricamento all’interno. In realtà Jcvd è solo uno degli ostaggi a sua volta, ma il fraintendimento viene usato dagli stessi rapinatori, con annesse folle reazioni di stampa e polizia.

L’idea è buona, la realizzazione anche -bello il piano sequenza iniziale che smonta da solo qualche decennio di action movie-, forse però il tutto non regge la durata del film, che alla fine si sente un po’ di vuoto, tranne un bel monologo senza senso di Jcvd che merita. Diciamo che l’ironia va un po’ scemando. Comunque non male.

Nulla comunque al confronto rispetto all’altro film della serata -sempre della sezione Altro Cinema, ché quasi sto vedendo solo quelli-, ovvero Stolen Art di Simon Backès, che a proposito di realtà e finzione si rivela disarmante, aperto, volutamente non conclusivo ma lucidissimo pro-vocatorio, stimolante come pochi.


Il regista stesso va in cerca nel film di tracce e protagonisti di una esibizione del 1978 dell’artista ceco Pavel Novak a New York, dal titolo Stolen Art appunto, in cui venivano esposti capolavori della storia dell’arte, Rembrandt, Courbet e Malevich tra gli altri, sostenendo che fossero gli originali e che il suo autore li avesse sostituiti con delle copie perfette, il che lo costrinse a scomparire per non rispondere di quelle sue auto-accuse. Na roba geniale, in nome della riappropriazione dell’arte da parte dei suoi fruitori, che mette in reazione chimica, in una pozione unica l’arte con il concetto di falso, di copia, e quello di proprietà, di copyright. Barkes va in giro per i musei internazionali, con la sua camera commerciale digitale Sony (gliel’ho dovuto chiedere con che l’avesse girato), a vedere -e sul come affronta il tema dello sguardo, come furto, ci si potrebbe scrivere un libro- le varie opere che componevano l’esibizione di Pavel Novak. Interroga i direttori dei vari musei, tutti ignari della vicenda -l’unico che reagisce male, mi pare del Musée d’Orsay. guarda caso è l’unico contattato al telefono e che non vediamo di persona...). Ritrae le opere stesse, con immagini bellissime, che scavano nei quadri, con questi colori sparati del digitale. E poi ci sono i vivissimi gesti del curatore del museo Rembrandt Research Project, che dinanzi ai quadri del pittore che studia da 3 o 4 decenni, candidamente ammette che, sebbene non creda quei quadri siano falsi, dati gli esami radiografici e sul legno effettuati, la (sua) percezione è così carica di abitudine, interpretazioni, che potrebbe sempre sbagliarsi.

Il tutto ripreso e narrato con grande calma, quasi freddezza direi, che qui il riferimento è ovviamente F for Fake di Orson Welles, che invece era un film sornione, tutto sull’estremo filo del gioco di prestigio che sta per svelarsi, e preso da grande eccitazione. L’indagine alla ricerca di Novak e della verità -su tante cose, non solo su Noval ed i suoi dipinti- continua poi, con incontro con l’unico testimone vivente dell’esibizione -di cui vengono mostrati filmati amatoriali dell'epoca mooolto sfocati- ovvero mister transavanguardia Achille Bonito Oliva, che conferma il tutto oltre a spargere interessanti -ma non tutte condivisibili- riflessioni sul ruolo di creatore e critico. E proprio con il critico curatore della mostra originale si conclude il film, dove il paradosso che sottilmente è al fondo ed al centro del film emerge, coinvolge il film stesso, che questo è il cuore ultimo, la verità paradossale che mette in scena. Insomma vedetelo-non so come si possa procurare in realtà-, parlatene al bar, agli amici, io ci ritornerò sopra a breve, ché ho avuto la possibilità di fare una domanda al Simon Backès (gli ho chiesto appunto di quanto il suo film fosse coinvolto dal suo -di Pavel Novak- paradosso, ovvero gli ho chiesto se il film appena visto fosse suo o meno, e se sì in che senso? Ha risposto tenendo aperto la mia domanda, ma riempendola di contenuti) e rincontrandolo mi ha gentilmente dato la sua mail, così da potergli mandare qualche mia breve divagazione al riguardo.

Frammento cinephile (du Role) ma anche trash: una credo appassionata di Van Damme, uscendo dalla proiezione, notava con un sodale come in ogni film del suddetto ci sia un riferimento a Steven Seagal. Qui si parla di come JCVD perda il ruolo di un film andato a Steven, visto che ha promesso di tagliarsi il codino.

Frammento trash e cinephile: sempre in JCVD «Ehi, lui è Van Damme, quello che ha portato John Woo ad Hollywood, senza di lui starebbe ancora a riprendere piccioni ad Hong Kong»

Frammento di sinistra: non pervenuto

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