27 ottobre 2008
Diario del vostro blogger infiltrato al festival del film di Roma 2008 - giorno 3
3° giorno Venerdì 24 Ottobre
allora oggi la sinistra non è stata un frammento, è arrivata la protesta universitaria, si è fatta sentire, vedere. La protesta, credo lor signori lo sappiano, è contro l’obbrobriosa demolizione dell’università pubblica-legge 133- che fanno passare come riforma. Non mi dilungo ma qui trovate varie informazioni.
All’inizio, quando è arrivata l’Onda- così si son ribattezzati- ero in sala, e ci sono stati -mi è stato riportato- scontri, nel senso che la polizia ha impedito con manganellate l’ingresso al gruppo che accoreva, insomma la polizia ha menato. Poi la situazione si è un po’ tranquillizzata, quando sono uscito io erano tutti seduti davanti all’ingresso-con la libreria che intanto aveva tirato giù le serrande, e non faceva ‘na bella impressione- bloccando il tappeto rosso e parte dell’accesso, chiedendo di poter entrare tutti in nome della cultura libera per tutti. L’entrata del pubblico al festival non era comunque ostacolata del tutto.
C’era parecchia gente, parecchi ragazzi, ma davvero non saprei quantificare quanti fossero i manifestanti, pure lo schieramento delle forze dell’ordine era notevole, faceva decisamente impressione. Credo che nessuno dall’auditorium o degli organizzatori sia uscito a parlamentare, a concordare qualcosa, se non qualche dirigente digos chiaramente identificabile -c’hanno una faccia tutta loro, quelli della digos. Purtroppo nessuno volantinava o spiegava al pubblico esattamente per che cosa si protestasse, molti non lo sapevano e mi son trovato io stesso a raccontarlo a qualche signora di una certa età. La cosa -per me- inquietante è che alcune delle facce dei leader -quelli con il megafono e che parlavano con la polizia- erano le stesse di quando 7/8 anni, matricola, mi trovai ad occupare l’università, ed era gente già grande allora. Uno in particolare, che poi sapevo fosse diventato il capo -mi sa che lui non accetterebbe la definizione, ma è così- di Action, quelli che si occupano di occupazione di case e di problemi abitativi, era chiaramente quello che gestiva il tutto. N’altra cosa che mi ha turbato parecchio -c’ho lo stomaco troppo delicato- è che ogni qualvolta venisse declamata a mezzo megafono una bella notizia -«due studenti sono entrati ed hanno appeso uno striscione»-, il pubblico, ehm, mi è venuta da sè, diciamo i manifestanti che è meglio, urlava una cosa tipo «Ugh! Ugh! Ugh! Ugh!», ripetuto anche di più. Che a me sembrava na cosa tra un verso scimmiesco -sarà na polemica pro-evoluzionista???- e na citazione di 300, quel filmaccio infame che puzza e strapuzza di fascismo. Boh, a me sto verso di acclamazione e consenso non m’è piaciuto affatto. L’assembramento -si dice così, no?- si è poi sciolto pacificamente, al rilascio dei ragazzi fermati -sì, ne avevano fermati alcuni- dopo un’oretta e mezza e poco più.
Oltre che a passeggiare tra i manifestanti, a sentire che dicevano -stavo per sedermi fra loro, ché di fondo son molto d’accordo, ma qualcosa m’ha trattenuto- ho pure visto un po’ di roba.
Innanzitutto 9.99$, un bellissimo film in stop-motion -tipo Nightmare Before Christmas, per intenderci, o Wallace e Gromit. una produzione israelo-austrialiana, con alle voci grossi nomi come Anthony La Paglia o Geoffrey Rush. E’ un incrocio di storie, fra il (molto) surreale ed il realistico, di vari abitanti di un palazzo, per cui la regista Talia Rosenthal si è ispirata ai racconti di Edgar Keret -che mo’ mi andrò a recuperare, perché non so chi sia ma da questa riduzione cinematografica pare meritare parecchio. Poetico, goffo, asciutto e sottile racconto, con un barbone che diviene angelo, un uomo che decide di perdere la propria forma umana, la propria struttura ossea, per amore di una donna che detesta ogni asperità, e si trasforma per lei in una sorta di poltrona... Insomma, speriamo esca in sala. A me m'ha incantato, per questo mondo che mi ha ricordato i mondi che mi costruivo da bambino, con i playmobil e con i lego, ma qui è plastilina, che si anima per davvero, come sul tappeto di casa a rotolarsi ed a far le voci, anzi meglio, i pupazzeti qui diventano personaggi e ricevono non solo vita e movimento ma anche poesia ed umori ed umorismo.
Poi c’è stato l’omaggio a Steno, con Steno Genio Gentile, un documentario su Stefano Vanzina (sì, è il padre), regista di tante commedie italiche, da quelle di Totò - con Fabrizi- a quelle di Sordi - Guardie e LadriUn americano a Roma- e di roba più recente ma comunque decente -Febbre da cavallo su tutte. Ne è uscito fuori uno strano ritratto, con interivsta a Kezich, a Furio Scarpelli, a Monicelli e molti altri: un uomo riservato ma di grande capacità umoristiche e di scrittura, che comprendeva gli attori comici e le loro necessità come pochi, fossero anche una camera fissa e non dare mai lo stop per vedere dove andavano a parare. Era anche un uomo di sorprendente cultura - Sellerio ha pubblicato un suo diario giovanile che pare meriti- e tutti lì a sottolinearlo, figli compresi, come se dovessero nobilitarlo, e non bastassero a mostrarne la bravura, la statura umana, alcuni spezzoni di suoi film che a decenni di distanza rimanevano esilaranti. Si era formato al Marco Aurelio, la rivista satirica in cui gli furono sodali Fellini, Scola, Marchese -peccato che da altre riviste tipo il Male, Frigidaire e roba simile, quelle a cavallo fra i ’70 e gli ’80, non siano usciti cineasti. Bella la ricostruzione da parte di Monicelli della prime collaborazioni insieme, del cinema negli anni ’40 che tentava di ricostruirsi e di ricostruire l’italia. Insomma è stato più interessante di quanto credessi, e perfino i commenti dei figli erano sensati, interessanti, il che è tutto dire. Ah, pare che scappato a Napoli nel ’44 Steno facesse per Radio Londra l’imitazione di Mussolini, imitazione che pare allora fosse molto popolare, purtroppo non ne restano tracce.
Poi ho visto 8, gli 8 corti di altrettanti registi ad illustrare gli 8 Obbiettivi di Sviluppo del Millennio. Otto impegni che tutti i nostri governanti in sede Onu presero nel 2000 e che volevano realizzare entro il 2015, ma praticamente non si è ancora fatto nulla contro la povertà, o lo sfruttamento dei minori, il maltrattamento delle donne, il riscaldamento globale... In realtà io nemmeno ero a conoscenza del fatto che avessimo preso questi impegni. Ad inizio film l'Onu stessa che l'ha prodotto si dissocia da quanto gli 8 registi ci mostrano, ovvero critiche nette al mancato rispetto di questi impegni.
Ci sono alcune perle, come quello di Jan Kounen,(qui sotto il making of trovato in rete) che racconta la maternità sulle rive di un fiume amazzonica. Una ballata di dolore, acque rotte e navigate, di dolori antichi e pianti moderni, con un bianco e nero lucido, convinto, e partecipe, che avvolge.
Ancora poi, a firma Gaspar Noé, il racconto in prima persona dalla vera di voce di un malato di Aids del Gabon, che con voce off, e primi piani intensi dei suoi sguardi, dei suoi movimenti, si presenta e si racconta mentre sotto, il rumore di un battito pulsante non abbandona lo spettatore. Molto bello anche il primo episodio di Abderrahmane Sissako, il suo squarcio sulla vita di una poverissima bambina etiope, molto morigerato e sentito allo stesso tempo, senza non solo retorica ma nemmeno indulgenze o scivolamenti che sarebbero facili. Quello di Wenders invece, sul microcredito, parte alla grande, vedendo le manifestazioni anti G8 tedesco del 2007 dalla sala di montaggio di un televisione, chiarendo bene le dinamiche alla base delle notizie, e con questo forte contrasto tra questa sala asettica e tutto ciò che succede ed è successo fuori. Poi però diventa iper retorico, insomma esagera, calca la mano facendo uscire dagli schermi di montaggio i personaggi del 3°mondo. Uno spottone insomma, un po’ voluto. Comunque fra Gus Van Sant che usa gli scarti di Paranoid Park per parlarci di infanzia con secchi numeri proiettati sulle evoluzioni di giovani skaters, una Jane Campion tra l'apocalittico e l'ispirato che non perde però di vista l'umanità della tragedia climatica che racconta, l'attore Gael Garcia Bernal che qui come regista non è male con una straniante Islanda ed un dialogo a molta distanza fra padre e figlio, e nonostante una scialba Mira Nair, il tutto alla fine si regge e si fa vedere, e qualche messaggetto, roba tipo sms, passa.
A tarda sera Le barrage contre le pacifique di Rithy Pahn, tratto dal romanzo di Marguerite Duras, con Isabelle Huppert. Un film discreto, in ambo i sensi, che tratteggia con troppa distanza i complicati ed impastati rapporti fra questa madre francese ed i suoi due figli, maschio e femmina, nella Cambogia coloniale alla ricerca di un riscatto, di una possibilità nuova di vita grazie ad una risaia acquistata con grandi stenti. I paesaggi son bellissimi, i locali tratteggiati con grazia e sincerità, ma alla fine il film non prendeva, c’era poco da fare
Frammento (dalla manifestazione) di sinistra: maglietta con scritto “Non è tutto loro quel che luccica”.
Frammento trash: Ettore Scola che dice che i due Vanzina stanno proseguendo il lavoro del padre e della commedia all'italiana.
Frammento cinephile (du role): Ettore Scola -sempre lui- che se la prende un po' con Monicelli per non essere in sala all'omaggio a Steno, e ricorda con un po' di astio che Monicelli da giovane non era affatto così libero e coraggioso come l'è adesso da vecchio, ma che per loro giovani cinematografari il riferimento era piuttosto Steno -i panni sporchi si lavano ai festival oramai.
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