29 ottobre 2008

Diario del vostro blogger infiltrato al festival del film di Roma 2008 - giorno 5

5° giorno Domenica 26 Ottobre

Giornata ricca ma di cose dal valrore medio, un po'di cassetta, sarà che è domenica, so stanco e finisco dove tira il vento, il rullo. Alle 15 c’era Cliente di Josiane Balasko, attrice e regista francesce. Proprio un bel film, gradevole, una commedia ma non solo in cui tutto funziona, compresa la Balasko che fa la sorella della protagonista, una bravissima Nathalie Baye, cinquantenne matura, televenditrice di successo (!), ancora bella, che delusa e un po’ cinica le uniche relazioni che ha con gli uomini sono con dei gigolò (ho cercato l’etimo senza successo), che fa più bello di prostituto. Incontrerà Patrick-Marco, di cui diviene cliente fissa, affezionata, con progressivo trasporto anche da parte di lui, imbianchino della periferia, che si prostituisce, fa l’escort come si dice adesso, con signore attempate per pagare il mutuo del salone da parrucchiera della moglie. E di qui parte il tutto, con ironia, senza essere mai pruriginoso, con punte di femminismo, momenti stralunati tra il mondo della tv e quello della perifieria-quasi-banlieu. Il pubblico in sala ha gradito parecchio, pare che sia infatti già un successo in francia, quindi qui arriva di sicuro, ed è giusto così, che un film che è bel un film, nulla di più e nulla di meno, è quasi una rarità.

Poi nel pomeriggio, sempre organizzato dalla sezione Altro Cinema che è quella di Greenaway, Cronenberg, Assayas, incontro con Servillo e Verdone, e quest’inedito Verdillo suona strano ma ha funzionato. Che ha detto Mario Sesti -il critico che dirige Altro Cinema- che un paio d’anni fa chiese a Servillo con chi si voleva incontrare per un “duetto” e lui gli disse “Verdone, ne sono un fan scatenato”, e viceversa Verdone “con Servillo, uno degli attori più misteriosi di adesso”. L’uno ha scelto delle sequenze dell’altro da presentare e commentare, ed a parte i panegirici di rito, pare che davvero Servillo sia un fan, rideva come un matto, e pure Verdone non è stupido -che si sapeva- ma si muoveva anche lui con discreta comodità nel parlare dei pezzi di Servillo -si veda il frammento in fondo. Si è partiti tra l’altro con una scena di Sabato Domenica e Lunedì di Eduardo De Filippo, con la regia teatrale di Servillo e quella televisiva -bellissima- di Sorrentino. Da recupare sul mulo mi sa. Servillo ha intellettualeggiato, sornione, leggendo e tinteggiando il ruolo della “maschera” Verdone, della sua capacità di costruire il noi dell’identificazione, del rispecchiamento, creando personaggi e persone etc etc. Diciamo che Servillo potrebbe leggere anche il menù (ok, non proprio come Gassman) ed il pubblico sarebbe catturato. Verdone si è fatto abbastanza valere, a dirla tutta con il pubblico c’aveva pun rapporto più diretto, tranquillo, parlava come magna, o come recita più o meno, che alle volte Servillo esagerava e non è che stesse dicendo granché. Certo che poi però quando partivano le scene la differenza si notava, ma Verdone a volte, con quella comicità un po’ sempre uguale, se la cavava -il pubblico era preso quasi parimenti da entrambi.

Alle 20 o giù di lì è stato il momento The Duchess, film con Keira Knightley su una parente fine 1700 di Lady Diana, con storia molto simile, matrimonio rovinoso per colpa del marito nobiluomo infamone, lei che crede tanto all’amore, e si innamora di un altro, ma lui la ricatta bla bla bla ed annessa condizione femminile tremenda dell’epoc, tutto sempre a livello degli iper-nobili, ché della condizione femminile delle mogli dei mugnai di fine settecento non ne filmano manco una. Comunque, film inutile, ma proprio inutile assai: Keira Knightley, oltre a non saper molto recitare, c’ha due sopraccigli che fanno paura. Il di lei marito, duca di qualcosa, è il principale sostenitore dei progressisti dell’epoca, i whigs, ed il tizio futuro primo ministro di cui lei si innamora ad un certo fa un discorso pari pari a quelli di Obama, con robe tipo «All we need is change! We’ll bring UK in to brave new world, a fair world, a free world...», il che era un pò inquietante.

Al che, preso dalla scoramento, per non tormarmene a casa incazzato come una dama del 700, mi sono andato a vedere la prima di Good, film con Viggo Mortensen che era presente lì in sala, arrivato con mezz’ora di ritardo perché in passerella, sfoderando pure un po’ di italiano, ha firmato na quantità di autografi impressionante, era disponibilissimo, si divertiva pure, un po’ meno noi che eravamo già nella sala e per di più lo vedevamo nello schermo. Il film è la storia di un professore di letteratura francese nella Germania degli anni ’30, in particolare colà si narra di come, da anti-nazista che era, viene per una serie di eventi e di scelti risucchiato addirittura nelle SS, che pare c’avessero come membri onorari degli intellettuali. Il viaggio verso la perdizione parte da un suo romanzo in cui ipotizza la possibilità dell’eutanasia per chi è affetto da grave handicap o malattia, il che ovviamente piace parecchio al reich, che distorce parecchio l’idea, la fa passare per altri media quali il cinema, coinvolgendo il prof. Il tutto ciò coincide con il suo lasciare la famiglia disastrata -c’ha pure una madre tubercolotica, e di qui un po’ l’idea del romanzo, oltre che una moglie con serie turbe mentali- a favore di una arianissima studentessa biondissima e pure nazistella. L’intreccio non è male, non manca nemmeno l’amico ebreo, psicanalista, con annessi e connessi che credo sappiate, e non sono male nemmeno i momenti di cedimenti psicologici del personaggio, con inserti surreali scatenati da un ricordo di una vecchia canzone (il prof insegnava Proust, tanto per far tornare tutto). Insomma, a parte qualche caduta di stile in alcuni ambienti, non male, forse un po’ troppo freddo, troppo poco drammatico addirittura. E poi io non ho capito perché sto tipo che si chiamava John, che già non so se sia un nome tedesco, lo chiamassero tutti Johnny, che soprannome tedesco non è. A volte effettivamente il tutto sembrava troppo poco tedesco, e molto americano.
Comunque l’unica cosa veramente incredibile della giornata è stato un corto di pochi minuti, un pezzo di animazione italica dal titolo Uccello Fuoco, di Giulio Giannini e soprattutto Emanuele Luzzati. Na roba del 1981, una bellissima favola, raccontata ed illustrata con uno stile che sembrava quello dei disegni dei bambini , animati in maniera molto scarna ma funzionalissima, con un’inventività grafica che mannaggia non vi posso dare i miei occhi o le mie sinapsi neuronali che hanno immagazzinato il tutto. Il tutto condito da una colonna sonora praticamente di musica contemporanea, pianoforte preparato compreso, fatte da Oscar Prudente, me lo son segnato, che in realtà su wiki scopre essere un poppettaro, comunque lì era bravo. Qui ho messo il Pulcinella di Luzzati che Uccello di fuoco non si trova. Comunque godetevelo.

Frammento cinephile (du role): Verdone descrive così il monologo finale di Servillo de Il divo «un gran momento di cinema, metà Murnau, metà Sgt Pepper dei Beatles, pura psichedelia, con quel misto di teatro sperimentale degli anni '70». Applausi

Frammento trash (ma anche un po' cinephile): Verdone parla di come alcuni suoi film siano stati rivalutati negli anni, e di come siano cambiate ed aumentate il numero di stellette, o di palle, date dai vari critici. Al che la vicina di posto di Mereghetti, seduta dinanzi a me, gli chiede quante palle stellette/lui avesse dato al tal film, e lui fa segno di 3, ché evidentemente se le ricorda tutte.

Frammento di sinistra: il monologo di Servillo ne Il Divo di cui sopra

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