2° giorno Giovedì 23 ottobre
Alle 17 Cronenberg ha incontrato il pubblico. Era parecchio in forma, tranquillo, pure troppo, quasi Zen -altra voce di popolo.
Filosofeggiava per buona parte della conversazione, che era inframmezzata da spezzoni dei suoi film. Il tutto è iniziato con una domanda da parte dei critici che mr Cronenberg deve aver sentito parecchie volte, ovvero se sia più spaventevole il mostrare od il nascondere nel cinema. E lì mr David si è scatenato, ha detto che sta storia del celare, del non far vedere che crea più paura, è una bufala, ché quello che è considerato il suo massimo esponente, Alfred Hitchcock, in realtà aveva semplicemente il problema della censura, e quando poteva (Frenzy) indugiava anche lui di particolari. Questo confronto con il maestro Hitchcok è tornato anche un’altra volta, quando ci ha tenuto a sottolineare -insomma se ne vuole distinguere parecchio- che Hitcock usava definirsi un puppets master, un burattinaio, uno che tirava i fili degli spettatori, che li faceva ridere, piangere, sobbalzare, preoccuparsi quando lui voleva che lo facessero. Cronenberg sostiene invece di lavorare a partire da sé, di cercare, senza saperlo prima, che cosa lo possa spaventare, far pensare etc. Ha definito i suoi film delle sorta di philosophical voyages, viaggi filosofici, ma detto con garbo, senza arroganza, sempre molto distaccato -è canadese, ma potrebbe sembrare un americano costa ovest, rilassato, tranquillo e liberal, con famiglia al seguito.
Ed il tema della filosofia è poi tornato spesso, soprattutto quando ha esplicitato la sua “estetica”: lo splatter, i l sangue, le viscere ed i mostri ed incuibi esibiti con grande inventiva nei suoi film, nascono da una consapevole attenzione al corpo, alla corporeità come vera condizione dell’essere umano, alle viscere, al corpo visto anche dall’interno ed alla sua bellezza -detto così sembra quella parodia d’altri tempi per cui il pulp è “sangue e merda”.
Tutta questa attenzione all’elemento organico, il partire da esso per deformarlo, trasfigurarlo od incubarlo, deriva dal suo essere, parole sue, un ateo ed esistenzialista (a suo modo, ci ha tenuto a precisare). E di qui l’attenzione ancora più delirante per le protesi del biologico, ad i suoi prolungamenti, ovvero al massimo dell’umano (dice lui, ma io so pure un po’ d’accordo), dove l’umanità si rivela di più con sogni e desideri, la tecnologia. Insomma era a proprio agio assai, ma così a proprio agio, tra filosofia e cinema, aneddoti e lezioni di vita che pure io, che non è proprio che lo ami alla follia, m’ero fatto prendere.
Fra le domande del pubblico, ripeto, molti dei quali dei veri e propri adepti, una di rilievo è stata quella di una ragazza, purtroppo fuori dalla mia portata visiva ché ero curioso, che era lì con sincerità disarmante, a ringraziarlo di averle cambiato la vita. Investita da «una grossa range rover» nel 1997 (mi pare), ridotta assai male, bloccata e paralizzata (mi pare di aver capito), il di lui film Crash l’aveva aiutata come poche cose, a rimettere a fuoco parecchia roba, e quindi poi a stare anche molto meglio -si è definita una creatura cronenberghiana, carne, sangue e titanio. Era un po’ fuori, ma in un bel modo vivo, parlava con lui -non era proprio una domanda- con foga inevitabile ma anche cordialità, come una che ne vorrebbe essere amica, non fan. E anche qui è ritornata la filosofia, l’ha infatti prima paragonato fisicamente a Wittgenstein -e un pò c’aveva ragione, ma Ludovico è unico- e poi anche filosoficamente, insieme a Deleuze, per questo fatto del superamento dell’idea platonista della scissione mente-corpo (se non ho capito male, che poi pure Cartesio...). Ha finito con un tenero «quanto le vorrei scrivere un email». Lui era basito, preso, ma un po’ sconvolto, e non sapeva cosa aggiungere.
Peter Greenaway è stata un’altra storia. Innanzitutto presentava un film, Rembrandt J’Accuse, un incrocio fra un documentario, una detective story ed una lezione di storia dell’arte -Greenaway è anche pittore, fotografo...
Il film racconta i trenta più uno misteri politici, sociali, giudiziari ed umani del quadro di Rembrandt La ronda Notturna, con lo stesso Greenaway che compare con volto e voce a sovraimporsi ad immagini di quadri, pezzi dal suo film di sola finzione (?) sull’argomento, ovvero The Nightwatching, e bellissimi immagini del museo dove è ora custodito. Il tutto condito da un’analisi disarmante dell’opera di questo pittore estremamente narrativo, anti-misogino, democratico e dotato di una sospensione del giudizio degna di un post-moderno (parole sue), quale era Rembrandt. Insomma sto film è una gemma.
Alle volte un po’ pedante, ma d’altronde, e questo si è capito dalla chiaccherata che poi abbiamo potuto fare con Greenaway stesso, è una sorta di primo passo per un’educazione visiva, un tentativo di rifondare la stessa arte cinematografica mettendo al centro l’immagine, e quindi cercando di crearne una cultura, rispetto a questo cinema text-based che Greenaway non apprezza affatto.
C’aveva davvero una grande voglia di parlare, cercava provocazioni -«Alzi la mano chi ha ricevuto un’educazione artistica...mmm...bene, direi l’otto percento, è sempre l’otto percento, se includiamo me compensate e facciamo il dieci...»- che purtroppo il pubblico intimorito non ha recepito granché, buffoneggiava (l’ha detto lui) alla grande, sparava a zero sul cinema contemporaneo, così come sulla sua storia, che vorrebbe riscrivere proprio a partire da Rembrandt, primo regista, inventore di quel cinema che altro non è che «candele e specchi» (che classe, madonna che classe,) e che anche altri (Caravaggio) quasi tre secoli fa concepirono.
Era quasi inarrestabile, mi ha così travolto che visto che nessuno si azzardava a fargli una domanda, mi son trovato ad alzare il braccio io, senza rivelarvi per chiedergli cosa, vi dico solo che Peter Greenaway mi ha detto che faccio parte del suo pubblico ideale (sò soddisfazioni), al che poi gli ho pure chiesto un autografo e ci ho fatto altre quattro chiacchere (parlava di rivoluzione digitale, di immagini al potere...). Insomma, una bella serata.
Frammmento de sinistra: a parte i cartelloni degli universitari che però quasi non si vedevano, l’oratoria di Greenaway, sul femminismo che dovremmo appoggiare, sul repubblicanesimo, sulla democrazia incarnati in Rembrandt, pittore cittadino, era al limite della commozione, pur pervasa di ironia.
Frammento cinephile (ma anche un po’ trash): durante l’incontro con Cronenberg, ci sono state risa di gioia, grasse e divertitissime, da parte di un ragazzo molto devoto ed adepto mentre mostravano la violentissima scena della lotta nella sauna in Eastern Promises (La promessa dell’assassino, mi sa che è in italiano). In particolare quando Viggo Mortensen conficcava il coltello nell’occhio dell’altro russo, con annessi rumori viscidi.
Peter Greenaway è stata un’altra storia. Innanzitutto presentava un film, Rembrandt J’Accuse, un incrocio fra un documentario, una detective story ed una lezione di storia dell’arte -Greenaway è anche pittore, fotografo...
Il film racconta i trenta più uno misteri politici, sociali, giudiziari ed umani del quadro di Rembrandt La ronda Notturna, con lo stesso Greenaway che compare con volto e voce a sovraimporsi ad immagini di quadri, pezzi dal suo film di sola finzione (?) sull’argomento, ovvero The Nightwatching, e bellissimi immagini del museo dove è ora custodito. Il tutto condito da un’analisi disarmante dell’opera di questo pittore estremamente narrativo, anti-misogino, democratico e dotato di una sospensione del giudizio degna di un post-moderno (parole sue), quale era Rembrandt. Insomma sto film è una gemma.
Alle volte un po’ pedante, ma d’altronde, e questo si è capito dalla chiaccherata che poi abbiamo potuto fare con Greenaway stesso, è una sorta di primo passo per un’educazione visiva, un tentativo di rifondare la stessa arte cinematografica mettendo al centro l’immagine, e quindi cercando di crearne una cultura, rispetto a questo cinema text-based che Greenaway non apprezza affatto.
«Non posso andare da un produttore con 4 quadri, 3 litografie ed un libro di disegni e chiedergli “datemi i soldi, questo è il film”, perché i produttori sono visivamente ignoranti»
C’aveva davvero una grande voglia di parlare, cercava provocazioni -«Alzi la mano chi ha ricevuto un’educazione artistica...mmm...bene, direi l’otto percento, è sempre l’otto percento, se includiamo me compensate e facciamo il dieci...»- che purtroppo il pubblico intimorito non ha recepito granché, buffoneggiava (l’ha detto lui) alla grande, sparava a zero sul cinema contemporaneo, così come sulla sua storia, che vorrebbe riscrivere proprio a partire da Rembrandt, primo regista, inventore di quel cinema che altro non è che «candele e specchi» (che classe, madonna che classe,) e che anche altri (Caravaggio) quasi tre secoli fa concepirono.
Era quasi inarrestabile, mi ha così travolto che visto che nessuno si azzardava a fargli una domanda, mi son trovato ad alzare il braccio io, senza rivelarvi per chiedergli cosa, vi dico solo che Peter Greenaway mi ha detto che faccio parte del suo pubblico ideale (sò soddisfazioni), al che poi gli ho pure chiesto un autografo e ci ho fatto altre quattro chiacchere (parlava di rivoluzione digitale, di immagini al potere...). Insomma, una bella serata.
Frammmento de sinistra: a parte i cartelloni degli universitari che però quasi non si vedevano, l’oratoria di Greenaway, sul femminismo che dovremmo appoggiare, sul repubblicanesimo, sulla democrazia incarnati in Rembrandt, pittore cittadino, era al limite della commozione, pur pervasa di ironia.
Frammento cinephile (ma anche un po’ trash): durante l’incontro con Cronenberg, ci sono state risa di gioia, grasse e divertitissime, da parte di un ragazzo molto devoto ed adepto mentre mostravano la violentissima scena della lotta nella sauna in Eastern Promises (La promessa dell’assassino, mi sa che è in italiano). In particolare quando Viggo Mortensen conficcava il coltello nell’occhio dell’altro russo, con annessi rumori viscidi.
4 commenti:
stupendo! sei diventanto amico di peter! certo è un po' cervellotico, eh, però è chiaro che è un grande... certo, ci piace di più cronenberg, a dirla tutta (assai meno cervellotico, più carnale, e a noi la carne ci piace), però sei un grande inviato!
quasi quasi ti raggiungo... ma hai un pass? sei completamente schiffarato? e soprattutto: CHE DOMANDA HAI FATTO A GREENAWAY???
la domanda per greenaway me la porterò nella tomba. e si son dotato di pass, pass un pò parecchio pirata, ma che funziona, se vuoi aggiungerti per questi ultimi giorni un modo si trova...
magari...
(magari ma ahimè non posso, questo era il senso. c'è gente che lavora, ché bisogna dare una lezione a chi dice che siamo degli scansafatiche, noi dottorandi di filosofia. ossia dimostrarglielo, coi fatti, quanto siamo scansafatiche. è per questo che sono occupato a letto)
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