"Noi vogliamo una Italia che non diventi un paese plurietnico, pluriculturale. Siamo fieri della nostra cultura e delle nostre tradizioni"dice oggi Berlusconi, riecheggiando il buon Marcello Pera ed i suoi allarmi di meticciato, che riecheggiavano il becero razzismo pseudo scientista anni ’30, che a sua volta altro non era che la traduzione di medesime pulsioni italiche ben precedenti, soprattutto grazie all'amore che le gerarchie cattoliche ci avevano instillato verso gli ebrei [e poi c’è chi si chiede perché Umberto Eco abbia intitolato una raccolta di suoi recenti articoli A passo di gambero].
Beh sinceramente, visto il mio periodo zizekiano, non posso che glossare con un suo estratto:
Noi non crediamo più veramente; semplicemente, seguiamo (alcuni) rituali e usi religiosi per rispetto allo «stile di vita» della comunità a cui apparteniamo (pensiamo al proverbiale ebreo non credente che segue le regole kosher «per rispetto della tradizione»). Cos'è uno stile di vita culturale se non il fatto che, anche se non crediamo in Babbo Natale, a dicembre c'è un albero di Natale in ogni casa e anche nei luoghi pubblici? Forse, allora, «cultura» è il nome che diamo a tutte quelle cose che pratichiamo senza crederci veramente, senza «prenderle sul serio». Non è questo anche il motivo per cui la scienza - fin troppo reale - non rientra in questa nozione di cultura? E non è questo anche il motivo per cui liquidiamo i credenti fondamentalisti - che osano prendere sul serio il loro credo - come «barbari», come anti-culturali, come una minaccia alla cultura? Oggi, in ultima analisi, percepiamo come minaccia alla cultura coloro che vivono la loro cultura immediatamente, che non si distanziano da essa.